Può darsi che Emmanuel Macron diventi presidente della Francia, il 7 maggio, ma il risultato è meno certo di quanto la Santa alleanza di banchieri, governi europei, televisioni, grandi giornali e commissione della Ue pensino. Prima di tutto, l’ingresso del Front National nel gruppo dei partiti “accettabili” è ormai un fatto compiuto: l’appello a votare contro gli eredi del fascismo e del collaborazionismo non ha oggi quasi alcuna efficacia.

Nel 2002, di fronte alla sorpresa di una presenza di Jean-Marie Le Pen al ballottaggio, ci furono manifestazioni di massa nelle piazze, un enorme aumento (8 punti) dell’afflusso alle urne per il secondo turno e la schiacciante vittoria di Jacques Chirac con l’82% dei suffragi. Oggi, Marine Le Pen è un candidato banale, poco carismatico, che ha fatto una campagna mediocre e proprio per questo fa meno paura.

NON SOLO: 15 ANNI ANNI FA gli elettori avevano un rapporto già difficile ma ancora reale con le loro organizzazioni, oggi i partiti sono fantasmi che fanno sentire il tintinnio delle loro catene soltanto in campagna elettorale. Socialisti e gollisti, i due partiti storici che hanno dominato il panorama politico negli ultimi 45 anni, sono scomparsi al primo turno.

François Fillon, il candidato gollista travolto da uno scandalo che 20 anni fa sarebbe passato sostanzialmente inosservato, ha fatto una campagna fortemente spostata a destra sull’immigrazione, la criminalità, l’economia. Ciò significa che non ci sono vere ragioni per i suoi sostenitori per rinunciare a votare per la candidata ideologicamente più vicina, Marine Le Pen, ignorando la dichiarazione di voto per Macron del loro leader.

SE N’È ACCORTO anche lo stesso Macron, che la scorsa settimana ha usato una lunga intervista televisiva per rivolgersi a quegli elettori gollisti, chiedendo loro se si riconoscono in un partito, il Front National, «che ha fatto degli attentati contro il generale de Gaulle, che ha ancora i figli dei protagonisti (di quell’epoca, ndr) nelle proprie file».
Ora, se è vero che il partito di Marine Le Pen ha come antenati storici i fascisti francesi, oltre che i terroristi dell’OAS che cercarono di opporsi in ogni modo all’indipendenza dell’Algeria, è anche vero che esso fu fondato da Jean-Marie Le Pen nel 1972, quando Charles de Gaulle era già morto. Nelle ultime ore, le polemiche sull’antisemitismo e il negazionismo sono divampate nuovamente, portando alle dimissioni del presidente a interim del partito Jean-François Jalkh, ma quanto questi temi tocchino gli elettori francesi oggi è difficile da dire.

SUL PIANO PIÙ STRETTAMENTE politico, la debolezza di Macron sembra questa: è un candidato che non piace a una gran parte degli elettori che dovrebbero votarlo. Per vincere, dovrebbe raccogliere, oltre ai voti dei suoi sostenitori, quelli di François Fillon (20%), Jean-Luc Mélenchon (19,5%), Benoit Hamon (6,5%). Sulla carta, dovrebbe ottenere al secondo turno più di due terzi dei suffragi, un margine larghissimo.

TUTTAVIA, MACRON NON PIACE ad almeno due terzi degli elettori di Fillon, che si divideranno tra chi si astiene e chi vota Le Pen. Ancor meno piace agli elettori di Mélenchon, che hanno votato il rappresentante della France Insoumise precisamente come reazione alla politica neoliberale di Hollande. Questo significa che solo una minoranza di loro si farà convincere a votare Macron, la maggior parte probabilmente si asterrà.

LA MATEMATICA CI DICE, quindi, che di quel 40% potenziale di voti aggiuntivi alla fine se ne troveranno nelle urne tra il 15 e il 20%, che sommati al 6% dei voti di Benoit Hamon, probabilmente compatti sulla scelta di Macron, fanno un 21-26% di voti da aggiungere al suo 24% di partenza. Risultato finale: la base di sostegno con cui il candidato di En Marche! va al secondo turno si aggira fra il 45% e il 50% dei voti. Fragile, piuttosto fragile.

IL SECONDO PROBLEMA è quello città-campagna: Marine Le Pen ha una solida base rurale. Sugli oltre 35 mila comuni francesi, è arrivata in testa in 19.037 pur avendo ottenuto solo il 21,3% dei voti. Al contrario, Macron, che ha avuto il 24% dei voti, è primo in appena 7.264 comuni. In altre parole, Macron è il candidato delle città (a Parigi ha ottenuto il 34,8% dei voti) e Le Pen quello delle campagne (nella capitale ha dovuto accontentarsi del 4,9%).

QUESTA POLARIZZAZIONE geografica, che negli Stati uniti ha condotto all’elezione di Trump a causa del particolare sistema elettorale, forse non avrà gli stessi effetti in Francia ma è comunque un pericolo per Macron perché significa che al secondo turno prevarrà chi avrà più entusiasmo, più determinazione, più motivazione. E la Francia colpita dalla deindustrializzazione, con una disoccupazione elevata, ignorata dai politici parigini, piena di risentimento verso la capitale e verso le istituzioni internazionali, il 7 maggio andrà a votare compatta. Per Marine Le Pen.