Mercoledì 26 nella stazione ferroviaria di Ramses al Cairo una motrice entra a 60 km/h e finisce la sua corsa schiantandosi contro la banchina alla fine del binario. Ne segue una potente esplosione e un incendio, causati dalla cisterna di carburante della motrice. Il bilancio ufficiale finora è di 22 morti carbonizzati e oltre 45 feriti, alcuni in gravissime condizioni.

RAMSES È la principale stazione del Cairo e di tutto l’Egitto. È attraversata quotidianamente da decine di migliaia di persone, un crocevia di ambulanti, pendolari, anziani, famiglie dalle zone rurali e dalle province, snodo principale delle linee verso la costa e Alessandria, e di quelle dirette a sud, nell’Alto Egitto, che corrono lungo la valle del Nilo giù fino a Luxor e Assuan. La stazione prende il nome dalla statua del faraone Ramses II, eretta nella piazza antistante dal presidente Nasser nel 1955. Ma per molti egiziani, soprattutto tra le classi popolari, è semplicemente «la stazione del Cairo», Mahattat Masr (o anche solo “Masr”), dove Masr, oltre ad essere la parola utilizzata in arabo per indicare l’Egitto è anche per molti sinonimo della sua capitale. Insomma, un centro logistico e simbolico della vita sociale del paese.

LE DINAMICHE dell’accaduto sono ancora da chiarire, ma come sempre le autorità hanno da subito parlato di errore umano. Secondo quanto riferito dal quotidiano Al-Ahram, il primo ministro si è subito affrettato a dichiarare che «verrà considerato responsabile chiunque abbia trascurato il proprio lavoro o sarà trovato colpevole». E se il ministro dei trasporti Hesham Arafat si è dimesso a poche ore dall’accaduto (dimissioni immediatamente accettate dal capo del governo), le forze di sicurezza e la magistratura hanno già una loro versione ufficiale diffusa ai media. Il guidatore avrebbe abbandonato la motrice in seguito ad un litigio con un collega, senza spegnere il motore e diminuire la velocità. Il presunto colpevole è già stato arrestato e interrogato su ordine del procuratore generale Nabil Sadeq, insieme ad altri 5 colleghi, e già mercoledì pomeriggio ha “confessato” in diretta televisiva, assumendosi «la responsabilità piena» dell’accaduto.

AL DI LÀ delle responsabilità individuali e del balletto di accuse, in queste ore il dibattito che tiene banco in Egitto ruota tutto intorno alla qualità dell’infrastruttura ferroviaria e alla mancanza di investimenti e ammodernamento del sistema. Il numero degli incidenti parla chiaro: 1793 nel 2017, oltre il 40% in più rispetto ai due anni precedenti e quasi il doppio rispetto al 2014, e 1082 incidenti solo nella prima metà del 2018 (i dati sono quelli dell’agenzia statistica nazionale, diffusi dal sito indipendente MadaMasr). Uno stillicidio continuo, costellato da stragi anche peggiori di quella di oggi al Cairo.

Come lo scontro tra due treni passeggeri nei pressi di Alessandria l’11 agosto 2017, nel quale persero la vita più di 40 persone, o l’incidente di Manfalut, 350 chilometri a sud delle capitale, dove nel 2012 un treno travolse un autobus scolastico uccidendo 50 bambini tra i 4 e i 6 anni.

LA MAGGIOR PARTE delle linee ferroviarie in Egitto sono ancora prive di sistemi automatici e informatizzati, ferme agli standard tecnologici di 60 anni fa. Stavolta però sotto accusa non c’è soltanto una rete di trasporti vecchia e inefficiente, ma le politiche di austerità che negli ultimi anni hanno sistematicamente ridotto spese e investimenti nel settore.

I dati sui bilanci rivelano uno scenario agghiacciante: negli ultimi 4 anni il budget delle ferrovie è stato più che dimezzato a causa dei tagli imposti dal Fondo Monetario, mentre il governo non bada a spese per mega-progetti e armamenti. A chi gli chiedeva maggiori investimenti nella rete, nel 2017 fa al-Sisi in persona rispondeva pubblicamente: «Non potete chiedermi di spendere 10 miliardi [di lire egiziane] nell’elettrificazione e nei macchinari. Quei 10 miliardi se io li metto in banca a un’interesse del 10% alla fine mi daranno 1 o 2 miliardi. Come faremo a ripagare i nostri debiti con la Corea, la Francia e gli altri paesi?».

Dopo la strage il video delle dichiarazioni di al-Sisi ha cominciato a circolare in modo virale su internet, insieme alle immagini delle telecamere della stazione che hanno ripreso lo schianto, il rogo e la fuga disperata di uomini e donne in fiamme. Quasi una firma del rais sulle morti di Ramses, che il movimento dei Socialisti Rivoluzionari definisce già «martiri dell’incuria del regime».

MA CI SONO ferrovie per le quali il regime non ha problemi a indebitarsi. Come la linea che collegherà la faraonica nuova capitale voluta da al-Sisi: 67 chilometri, 11 stazioni, 22 treni nuovi di zecca, per i quali lo stato ha appena concluso un accordo da oltre 21 miliardi di lire egiziane con la cinese Exim Bank. La notizia è stata pubblicata trionfalmente sul quotidiano statale al-Ahram appena 24 ore dopo la strage. Un oltraggio alle vittime e ai lavoratori del settore, che da anni chiedono investimenti per la sicurezza propria e dei passeggeri.

DI SOLITO l’austerità uccide in modo silenzioso, indiretto, scrive il giornalista anglo-egiziano Osama Diab, ed è più difficile dimostrare il nesso esistente con le morti. Invece «la tragedia di oggi ci ricorda degli effetti letali delle politiche di austerità, specie in quei paesi che già soffrono per infrastrutture malridotte e scarsi investimenti».