Era considerato il «duro», l’assertore di una sorta di «socialismo militarizzato» alla cubana, e invece è stato il leader dell’incontro con Obama nel marzo 2016 a L’Avana e delle riforme economiche più ampie varate dopo il 1989 (la fine dei rapporti con Mosca).

Ha governato l’isola dal 2008 preparando la successione di una nuova generazione al fratello Fidel, padre della patria della Cuba moderna, gestendone i funerali a fine novembre 2016. Le cassandre sono state smentite pure stavolta. Raúl Castro si è rivelato pragmatico e prudente – forse troppo – gestore della transizione politica.

I biografi e gli storici hanno sempre fatto fatica a schizzare un suo ritratto. Lui, pur assumendo ruoli importanti fin dai primi passi compiuti dalla guerriglia sulla Sierra Maestra a fine 1956, ha sempre preferito restare nell’ombra fino al 2006, quando è iniziata la malattia di Fidel. Si era perciò soliti scrivere del più giovane dei fratelli Castro come di un «braccio operativo», negandogli capacità di elaborazione politica e di influenza sulle scelte strategiche della rivoluzione.

Nato il 3 giugno 1931 a Birán come Fidel, profondo Oriente cubano, si sa che segue le orme del fratello maggiore, quando deve frequentare le scuole superiori a L’Avana presso il Collegio Bélen gestito dai gesuiti. Ma al giovane Raúl non piace l’eccessiva disciplina dell’istituto, i risultati scolastici del primo anno non sono buoni.

Il padre Ángel Castro lo ritira dal collegio. Nel 1953, a differenza di Fidel che scelse di militare nel Partito ortodosso, si iscrive alla Gioventù socialista (l’organizzazione giovanile del Partito socialista popolare, il partito comunista cubano dell’epoca). Nel marzo dello stesso anno Raúl parte alla volta dell’Europa: Vienna, Praga, Mosca. Al ritorno, è arrestato ed espulso dall’università per la sua militanza politica.

Quando si rincontra con Fidel, il progetto di assalto alla Caserma Moncada di Santiago è in fase avanzata. Il 26 luglio 1953, data del primo tentativo insurrezionale contro il regime di Fulgencio Batista, Raúl ha il compito di occupare il Palazzo di giustizia di Santiago. Nel giugno 1955 un’amnistia libera i giovani del Movimento 26 luglio, Raúl è il primo a partire per l’esilio in Messico. È a Città del Messico che il futuro ministro delle Forze armate stringe amicizia con Ernesto Che Guevara e sarà proprio lui a presentarlo a Fidel.

A fine 1956, Raúl fa parte degli 82 uomini che tornano a Cuba a bordo del piccolo yacht Granma e del manipolo di superstiti dei primi scontri con l’esercito di Batista. Ha il grado di comandante. Nel febbraio 1957 un primo gruppo di donne si unisce alla guerriglia della Sierra Maestra. Tra loro, c’è Vilma Espín che diventerà sua moglie.

Ha raccontato Raúl: «Quando arrivai a L’Avana (…) ero convinto che il più era fatto. Avevamo sconfitto la dittatura di Batista, potevamo iniziare una vita normale. Ma Fidel ci convocò e ci avvertì che la vera rivoluzione era appena iniziata. Ci disse che bisognava costruire una nuova società».

È Raúl che stabilisce duraturi rapporti con l’esercito dell’Urss che fornisce a Cuba negli anni Sessanta armi, tecnologia e tecnici conquistandosi la nomea del più filosovietico dei dirigenti della rivoluzione. Quanto alla sua fama di «duro», ha spiegato in una occasione: «Non posseggo il carisma di Fidel. Alla mia immagine di duro ha contribuito mio fratello agli inizi della rivoluzione, quando furono scoperti degli attentati contro la sua persona. Disse che se lo uccidevano la situazione sarebbe diventata ancora più tesa, perché io avrei preso il suo posto».

I collaboratori di Raúl lo descrivono come metodico, efficiente, dalle grandi capacità di lavoro e di organizzazione, inflessibile nel denunciare ciò che non gli piace e nel defenestrare chi tradisce la sua fiducia.

È lui, in un discorso tenuto a Santiago nel 1979, a coniare l’espressione «sociolismo» in antitesi a «socialismo» per denunciare gli eccessi di favoritismi, indisciplina e di burocrazia tra «socios» (soci) nella vita politica ed economica dell’isola.

L’episodio più clamoroso che lo vede protagonista è però quello del giugno 1989, quando è arrestato il generale Arnaldo Ochoa, eroe della presenza cubana in Africa e in procinto di essere nominato responsabile della difesa della città dell’Avana (una sorta di n. 2 dell’esercito cubano). Ochoa è accusato di aver «coperto» traffici illeciti di droga e di valuta straniera: alla fine di un processo che non chiarisce tutti i contorni dell’accaduto, viene condannato alla fucilazione.

Negli anni successivi, Raúl riorganizza i due ministeri di sua competenza dopo il trauma della vicenda Ochoa. Il suo ruolo, rispetto alla fama di «duro», accompagna poi favorevolmente le prime timide aperture all’economia mista e al turismo. Da una branca delle Far (Forze armate rivoluzionarie) nasce la società Gaviota che inizia a gestire hotel, imprese miste e servizi per il turismo. Il ruolo di Raúl è fondamentale a metà anni Novanta.

Nell’agosto 1994 scoppia la «crisi dei balseros», migliaia di cubani abbandonano l’isola con mezzi di fortuna per la grave crisi economica. È lui, ministro delle Forze armate, ad annunciare la prima risposta a quella crisi: la liberalizzazione del mercato agricolo. È Raúl a rendere pubblica la decisione. Un gesto da molti interpretato come un’assunzione diretta di responsabilità rispetto alle titubanze di Fidel verso l’apertura all’economia mista.

Ora, dopo il suo passaggio di consegne al vertice del governo, resterà segretario del Partito comunista. Forse andrà a vivere a Santiago da semipensionato.