Sarà il Consiglio di stato a stabilire se la regolamentazione, promessa dal nuovo ministro dell’Educazione nazionale Gabriel Attal, sulla proibizione dell’abaya nelle scuole pubbliche francesi, è conforme alla legge in vigore. La France Insoumise ieri ha fatto ricorso all’alta corte dopo l’annuncio di Attal, domenica sera, di considerare l’abaya una “violazione” della legge del 2004, che proibisce nelle scuole pubbliche segni o abiti che «manifestano ostensibilmente» un’appartenenza religiosa, anche nel caso siano indossati dagli allievi. Secondo il Consiglio francese del culto musulmano, l’abaya (parola araba che significa “toga”, “mantello”) non è una prescrizione religiosa, ma nel 2021 una precisazione della legge del 2004 ha fatto rientrare nelle manifestazioni “ostensibili” di appartenenza religiosa anche «segni o tenute che non sono, specificamente, propriamente religiose», che possono rientrare nella proibizione «se portati per manifestare ostensibilmente l’appartenenza religiosa».

Il professore di diritto pubblico Serge Slama sottolinea che sulla base del diritto attuale «il ministero dell’Educazione nazionale non può proibire in modo generale questo abito» che può essere messo al bando solo nei casi in cui venga portato «con connotazione religiosa».

Le sottigliezze dell’interpretazione della legge lasciano però aperta la polemica che si è sollevata negli ultimi giorni attorno a questo abito. Attal ha giustificato la nuova regolamentazione sulla base di un aumento del 120% delle segnalazioni di violazioni della laicità nelle scuole pubbliche (4.710 casi nell’anno scolastico 2022-23, contro 2.167 l’anno precedente) e ricorda che la neutralità della scuola deve fare in modo che quando un insegnante «entra in classe non deve essere in grado di identificare la religione degli allievi guardandoli».

Esiste una domanda di chiarezza da parte dei presidi, che devono far rispettare le regole e giustificare decisioni di fronte alle famiglie: riguarda soprattutto i circa 150 istituti scolastici (medie e licei) sulle migliaia che esistono nel paese, dove il problema si pone. Destra e estrema destra approvano la decisione di Attal, mentre la sinistra è profondamente spaccata, come lo è stata su questi temi fin dal 1989, quando scoppiò il primo caso del “velo” in una scuola di Creil.

Sophie Binet, la nuova segretaria della Cgt che viene dal mondo scolastico, non contesta la decisione sull’abaya, ma sottolinea che è una strumentalizzazione del governo per non parlare dei veri problemi del nuovo anno scolastico, a cominciare dalla mancanza di insegnanti.

Il Partito socialista, che già nel 2004 aveva votato a favore della legge sulla proibizione dei segni religiosi ostentatori, mantiene la tradizione laica, il Pcf (che nel 2004 si era spaccato) difende ora la neutralità, mentre France Insoumise e Europa Ecologia «hanno una concezione più accomodante», spiega il politologo Jérôme Fourquet, «in nome della difesa delle minoranze» e anche «di interessi elettorali» (9 deputati della France Insoumise sono eletti del dipartimento della Seine-Saint-Denis, nella banlieue parigina).

L’abaya è un nuovo fattore di divisione nella Nupes. Il socialista Jérôme Guedj invita la sinistra a non essere «angelica» sul proselitismo religioso. Jean-Luc Mélenchon denuncia invece una «nuova assurda guerra di religione interamente artificiale a proposito di un abito femminile».

L’eco-femminista Sandrine Rousseau paragona l’abaya al crop top (già oggetto di forti polemiche): «Come sempre, un controllo sociale sul corpo femminile». La ministra Olivia Grégoire vede nella proposta di regolamentazione «una misura di buon senso per proteggere la neutralità» a scuola. Eric Ciotti, segretario dei Républicains, accusa France Insoumise e Verdi di essere «complici del comunitarismo» e chiede il ritorno dell’uniforme a scuola, la vecchia blouse che dovrebbe cancellare tutte le diversità.