In sanità le cose stanno andando molto male. Ma prima di discutere sulle soluzioni, bisognerebbe accordarsi sulle verità sulle quali convenire perché, diversamente, senza andare a fondo sulle cause che ci hanno portato a questo drammatico punto di crisi, la sanità non si salva.
Ma non è facile affrontare questo esame soprattutto per chi in sanità ha avuto importanti responsabilità politiche e non ama fare autocritica sul proprio operato.

Non fa eccezione l’ex ministra Bindi che recentemente in un articolo su La Stampa (13 gennaio) ha sostenuto tesi singolari e per sovrappiù riproposto gli stessi errori del passato, tentando di rifilarci la sua riforma farlocca del ‘99.
Dire che la sanità è “svenduta in nome del mercato” è vero ma bisognerebbe aggiungere che a svendere la sanità sono state le controriforme del ‘92 e del ‘99 targate Pd nelle quali sono state protagoniste l’Emilia Romagna (che sul campo anticipò le Aziende prima della legge) e la ministra Bindi alla quale dobbiamo la creazione della vera “seconda gamba”, cioè una sanità che non si limita ad essere integrativa ma che è autorizzata, per legge, a sostituire quella pubblica.

Il processo di privatizzazione in sanità precede la sua riforma, tuttavia è proprio con la sua riforma-ter che il meccanismo privatistico si consolida. Dopo di lei arriva Renzi con il job act e gli incentivi fiscali ai fondi assicurativi fino a considerarli. incredibile a dirsi, come attività non profit.
Ma a parte la “seconda gamba” della Bindi, lascia perplessi il maldestro tentativo di rifilarci, dopo 23 anni, il cuore della sua controriforma neoliberista.

La tesi centrale dell’articolo scritto per il quotidiano torinese è che la sanità pubblica a priori non è in grado di essere “autosufficiente”, ovvero non può essere solo pubblica ma per forza anche privata. Questa è la tesi che in netto contrasto con la riforma del ‘78 è alla base della sua controriforma del ‘99 .

“Conosciamo le cause della malattia” scrive Bindi, “per troppi anni la sanità è stata sottoposta a interventi contrari al rispetto dei principi costituzionali e dei diritti umani fondamentali, assecondando l’idea che il mercato avrebbe comunque potuto sostituire buona parte della sanità pubblica, quella più in grado di generare profitti”. Giusto, peccato si ometta di dire che a chiamare il mercato in causa negli anni ‘90 è stato il suo partito, prima con l’aziendalizzazione poi con l’assistenza sostitutiva.

Ora che i famosi buoi sono scappati dichiararsi preoccupata che a causa della “non autosufficienza” si allarghi la privatizzazione del sistema, sembra lodevole ma poco convincente. Come anche ritenere che il SSN “possa essere salvato” ma senza indicare, a chiare lettere, gli errori del passato. Con il centro destra la non autosufficienza diventerà la regola.

E’ una falsità sostenere che la sanità pubblica non può essere autosufficiente: se solo una parte del privato fosse reinvestito nel pubblico potremmo avere una super sanità e a zero tempo nelle liste di attesa. Le liste di attesa esistono perché c’è un privato da soddisfare. E’ una aberrazione sostenere che l’unico modo per fare sostenibilità sia subordinare i diritti al reddito. Come è follia pensare di rispettare i diritti con le logiche neoliberiste. E’ un insulto al pensiero moderno contemporaneo ritenere che oltre alla strada inaugurata dalle controriforme del centrosinistra non ci siano altri modi, altre politiche, per fare per davvero sostenibilità.

Oggi se volessimo salvare il SSN la strada quasi obbligata non è il neoliberismo surrettizio (meno diritti e meno pubblico) ma esattamente il contrario cioè assicurare più salute, equivalente, come non è difficile comprendere, a una maggiore ricchezza.
Dovrà essere la produzione di salute come produzione di ricchezza ad assicurare il rispetto dei diritti.