Posizione più scomoda per la Cina non poteva esserci: l’attacco militare russo all’Ucraina ha smentito in modo clamoroso quanto affermato nei giorni precedenti dal ministro degli esteri di Pechino (sull’integrità territoriale del paese) e ora la dirigenza del Pcc tenta di rimanere in equilibrio su un filo sottilissimo. A parole il supporto alle ragioni di Mosca e contro l’allargamento della Nato persiste, ma è evidente un nervosismo celato tra le righe.

INTERNAMENTE IL MESSAGGIO diffuso dai solerti funzionari della propaganda è stato quello di non consentire commenti contro la Russia in rete, né tanto meno sui media ufficiale; ma come già nel caso della Crimea nel 2014 Pechino non può supportare un’invasione militare, tesa com’è a chiedere costantemente il mantenimento della stabilità a livello internazionali.

In questo tentativo di non perdere la faccia (il concetto di mianzi, la faccia, la reputazione, è fondamentale non solo nella società cinese, ma anche nelle relazioni internazionali della Cina), Pechino ha lasciato intravedere alcuni comportamenti peculiari, come ad esempio l’intervista della tv di stato a un consulente della presidenza di Kiev.

A QUESTO PROPOSITO negli ultimi tempi è stato registrato un forte avvicinamento tra Cina e Ucraina, prima dello scoppio della crisi: Kiev è partner commerciale e una delle tante porte europee del progetto della nuova via della seta. Per quanto riguarda le reazioni ufficiali di ieri, il ministro degli esteri Wang Yi a colloquio con Lavrov ha specificato che «la Cina rispetta sempre la sovranità e l’integrità territoriale di tutti i Paesi. Allo stesso tempo, ha specificato, abbiamo anche visto che la questione Ucraina ha latitudine e longitudine storiche complesse e speciali e comprendiamo le legittime preoccupazioni della Russia sulla sicurezza», aggiungendo che «la Cina sostiene che la mentalità da Guerra Fredda dovrebbe essere del tutto abbandonata e che un meccanismo di sicurezza europeo equilibrato, efficace e sostenibile dovrebbe essere finalmente formato attraverso il dialogo e la negoziazione».

DURANTE LA CONFERENZA STAMPA del ministero degli esteri la portavoce di Wang aveva ripetuto quanto la Cina dice da alcuni giorni: serve uno sforzo diplomatico di tutte le parti per fermare il conflitto. E come già nel 2014 probabilmente la Cina si asterrà nel voto alle Nazioni Unite sulla risoluzione di condanna della Russia. Il grande dubbio, al momento, è se Putin avesse avvisato Pechino o meno delle sue intenzioni.

Dalle prime reazioni non sembrerebbe così. Pechino punta anche a premunirsi da rischi economici che la guerra rischia di portare; ieri ha autorizzato le importazioni di grano da tutte le regioni produttrici della Russia, a condizione che soddisfino i requisiti del protocollo fitosanitario. Lo ha annunciato l’Amministrazione generale delle dogane. La Cina, come riportato dal South China Morning Post, «ha iniziato a consentire importazioni di grano su larga scala dalla regione dell’estremo oriente russo in ottobre, con la più grande azienda agroalimentare cinese, la Cofco di proprietà statale, che ha acquistato il primo lotto di 667 tonnellate».

LA RIVISTA CAIXIN ha messo invece in guardia dalla ricaduta delle sanzioni: «Se i paesi occidentali continuano a imporre sanzioni alla Russia, il commercio estero della Russia potrebbe risentirne e i paesi con un volume di scambi elevato con la Russia potrebbero affrontare maggiori rischi valutari. In termini di percentuale di scambi con la Russia, i paesi dell’Europa orientale e la Turchia potrebbero sostenere il peso maggiore, seguiti dai paesi dell’Europa occidentale. Tra i paesi asiatici, Corea del Sud, Malesia, Cina e Singapore hanno un’esposizione economica e commerciale relativamente elevata alla Russia».