Con l’inizio del dibattito sulla sfiducia, su mozione dei socialisti, oggi potrebbe essere l’ultimo giorno dell’era Rajoy. O almeno, così, oltre al Psoe, sperano Podemos, Izquierda Unida e alleati. Ma forse lo pensano anche nel Pp: ieri, all’arrivo del premier in aula per il question time, i 137 deputati popolari sono scattati in piedi e l’hanno applaudito lungamente. Una dimostrazione di appoggio che suonava più come un de profundis. E durante il durissimo dibattito, l’opposizione ha citato spesso le «ultime ore» del governo.

Pablo Iglesias, attaccando duramente il ministro degli interni Zoido per non voler ritirare una medaglia concessa 40 anni fa al famoso torturatore franchista Billy el Niño, si rivolgeva direttamente alla bancata del Psoe: «Speriamo che il prossimo ministro degli interni socialista ritiri l’onorificenza».

La situazione è incerta, ma ci sono segnali positivi per il leader socialista Sánchez. I nazionalisti baschi hanno fatto sapere che se i partiti catalani votano sì alla mozione di sfiducia, faranno altrettanto. D’altra parte, il PdCat (partito dell’ex president Puigdemont) ha comunicato che voterà come Esquerra Republicana. E il pittoresco deputato di Esquerra, Gabriel Rufián, ha detto in aula che «cacciare i ladri e i carcerieri dalla Moncloa non è un’opzione, è un obbligo».

È il gioco del cerino acceso, ma se alla fine soffieranno tutti insieme, a Sánchez basterà. Rajoy è ormai un cadavere politico. Pablo Iglesias è stato abilissimo a prendere l’iniziativa, e ha promesso che se Sánchez dovesse fallire, il giorno dopo sarà Podemos a presentare la «mozione strumentale» minacciata da Ciudadanos, concordando un candidato premier per un governo che convochi immediatamente le elezioni. La questione è che Ciudadanos non può farlo – ci vogliono 35 firme per la mozione e loro ne hanno solo 32 – e neppure i socialisti (si ammette una sola mozione all’anno). A questo punto, Ciudadanos e Psoe non avrebbero argomenti per non appoggiarla e la mozione passerebbe. Pressione sui baschi del Pnv, che vedono le elezioni immediate come fumo negli occhi per timore di un rampante Ciudadanos. Per cui per incassare i vantaggi economici della finanziaria di Rajoy – che hanno votato 10 giorni fa – e prendere tempo, la migliore strategia è proprio quella di votare Sánchez.

D’altra parte, i catalani sembrano aver voluto togliere le castagne dal fuoco ai socialisti: il neo president Quim Torra ha pragmaticamente ceduto alle pressioni di Madrid e ha tolto dalla sua lista i 4 ministri sgraditi al governo, quelli in carcere e a Bruxelles. Tra l’altro, due dei quattro nuovi nomi sono attuali deputate di Esquerra che si dimetteranno dopo il voto di domani. Così non ci saranno più scuse per impedire il giuramento del nuovo esecutivo catalano (ormai la settimana prossima) che automaticamente farà cessare il 155. Un governo Sánchez si troverebbe a dover gestire la questione catalana, ma senza carichi pendenti. Uno dei cavalli di battaglia degli ipernazionalisti spagnoli di Ciudadanos è proprio quello di mantenere il 155: senza questo spettro, Sánchez avrà le mani più libere (senza sottovalutare le pressioni centraliste del suo stesso partito).

Unico vero ostacolo: per governare, il Psoe potrà contare solo su 85 deputati. Per questo Iglesias, che pure promette l’appoggio alla mozione senza attendere i risultati della consultazione tra gli iscritti in corso fino a stasera, insiste che Sánchez dovrebbe formare un governo di coalizione con Unidos Podemos, per arrivare a 156 seggi (su 350). Difficile però che il Psoe ora possa digerire un governo rosso-viola.