Al Sejm di Varsavia, nella seduta straordinaria sulla crisi migratoria, il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, ha avanzato martedì l’ipotesi di un complotto panrusso contro la Polonia.

Dietro l’emergenza umanitaria alla frontiera di Krinky non ci sarebbe soltanto il presidente bielorusso, Aleksandr Lukashenko, sempre più isolato sulla scena internazionale: al suo fianco il capo del Cremlino, Vladimir Putin, che entro la fine del mese dovrebbe avere un nuovo confronto con il collega americano Joe Biden.

Prove concrete Morawiecki non ne ha fornite al Parlamento, a meno che per prova non si intenda il colloquio telefonico in cui Lukashenko ha messo Putin al corrente della situazione, ed è difficile immaginare che Morawiecki fornisca ulteriori elementi nei prossimi giorni, ammesso che qualcuno gliene chieda. La sua tesi, tuttavia, ha raggiunto il preciso obiettivo per il quale è stata formulata. Ottenere l’attenzione e la solidarietà dell’Unione europea su uno dei punti più controversi nei programmi del partito di governo Diritto e Giustizia, ovvero la totale chiusura di fronte al fenomeno migratorio, per di più in una fase in cui i rapporti con Bruxelles sono al minimo livello.

NEL DIBATTITO POLITICO europeo Putin e Lukashenko fanno sicuramente parte della medesima categoria, la grossolana categoria della “minaccia orientale” in cui rientra anche il presidente cinese, Xi Jinping. Le vicende degli ultimi anni mostrano, però, che le scelte di Lukashenko sono meno permeabili alle influenze russe di quanto in genere si creda. Al progetto del Cremlino di costruire una unione di stati, Lukashenko si è sempre opposto con estrema fermezza per ragioni bene al di là del profilo sovietico che l’operazione avrebbe. L’ultima volta è accaduto a settembre, al culmine delle tensioni nelle strade di Minsk, quando il presidente bielorusso è volato a Mosca per chiedere l’appoggio, soprattutto finanziario, del solo alleato che gli è rimasto: assoluta intesa sulle “minacce esistenziali” che i due sistemi di potere affrontano, ma risposta fredda davanti all’offerta di relazioni più strette, con la firma di generici accordi di integrazione economica arrivata soltanto la scorsa settimana, dopo un colloquio in videoconferenza.

I rapporti fra Lukashenko e Putin sono particolarmente delicati proprio in tema di sovranità territoriale. A luglio a Minsk le squadre speciali hanno arrestato trentasei cittadini russi sospettati di appartenere all’organizzazione paramilitare Wagner: per loro il governo ha minacciato l’estradizione in Ucraina. Non deve quindi sorprendere che ieri, nella telefonata in cui la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha definito «disumana» la strumentalizzazione dei migranti, Putin abbia denunciato da una parte come «illegale» l’ipotesi di nuove sanzioni contro Minsk, ma abbia anche a suggerito a Merkel di discutere il caso direttamente con Lukashenko, evitando, un fatto, questo, piuttosto insolito per il Cremlino, di entrare nella crisi con il ruolo di mediatore.

LO STATO, PESSIMO, dei rapporti fra Polonia e Bielorussia è più che sufficiente a spiegare gli interessi di Lukashenko nella vicenda e i pacchetti da 2.600 dollari con cui i migranti ottengono un visto turistico e un biglietto di aereo per Minsk, per mettersi poi in viaggio verso il confine più vicino con l’Unione europea. Nel suo incarico da primo ministro Morawiecki ha offerto pieno sostegno alle organizzazioni che si battono per togliere il potere a Lukashenko, così come aveva fatto il suo predecessore Donald Tusk durante la rivolta in Ucraina nel 2014, sulla base di una dottrina che attribuisce a Varsavia speciali responsabilità negli affari dell’Europa dell’Est.

Il sostegno di Morawiecki all’opposizione bielorussa non è stato soltanto verbale, bensì materiale. Proprio nel centro della capitale polacca, sorvegliato dai servizi segreti, si trova per esempio il quartier generale di Nexta, il portale di informazione anti Lukashenko in cui lavorava fra gli altri Roman Protasevich. Il suo arresto a maggio in aeroporto a Minsk dopo un atterraggio di emergenza pilotato dalle autorità bielorusse è stato al centro di un’altra, intensa, crisi diplomatica. I cui effetti sono ancora in corso.