Ho pochi anni in più del manifesto che, con il traguardo dei cinquant’anni, si conferma uno dei progetti più longevi della carta stampata: un risultato di non poco conto per un «vascello corsaro».

Ho iniziato a leggerlo da giovanissimo, occultando la copia nell’Unità, al tempo «lettura più ortodossa», esattamente quando è iniziato il mio impegno civile e politico. Da allora non ho mai smesso, sia quando ne ho condiviso che quando non ne ho condiviso la linea. Il manifesto ha attraversato questo mezzo secolo della vita del Paese e del mondo facendosi interprete di una lettura degli avvenimenti originale, mai conformista, sempre coerente e non per questo faziosa.

Non sono stati anni facili, tra grandi soddisfazioni e difficoltà che sembravano irreversibili. Ma non poteva essere altrimenti per un giornale nato dalla contestazione e che proprio nella frattura, culturale e politica, ha trovato il motivo della sua ispirazione.

Sta qui la cifra dell’intuizione che Luigi Pintor, Rossana Rossanda, Lucio Magri, Valentino Parlato, Luciana Castellina e tanti altri hanno coltivato offrendo al giornalismo, al dibattito pubblico e alla politica italiana un richiamo autorevole e controcorrente. Un punto di vista mai dogmatico, che è stato spesso un antidoto al conformismo della sinistra.

Sta qui anche il motivo profondo che oggi consente al manifesto di festeggiare i suoi cinquant’anni: coerenza con le radici dell’ispirazione iniziale e grande capacità di coltivare l’innovazione e il cambiamento, anche di se stessi, mentre intorno cambia il mondo.

Senza un ancoraggio saldo all’idea iniziale ma anche all’innovazione il progetto editoriale non avrebbe potuto sopravvivere a cinquant’anni di storia continuando ad essere, ancora oggi, una voce militante per l’uguaglianza, per i diritti e per la pace.

Cinquant’anni «dalla parte del torto», questo è quello che, più di ogni altro messaggio, resta di un giornale che ha fatto la storia della cultura e della sinistra nel nostro Paese. Un richiamo che serve ancora molto, forse mai come ora, all’Italia alle prese con un tornante epocale della propria storia.

Soprattutto oggi, dopo cinquant’anni, continua ad essere preziosa la capacità di leggere in profondità la società italiana di cui il manifesto si è mostrato capace come pochi altri. E altrettanto rara e necessaria la forza con la quale ha saputo imporre nel dibattito pubblico il tema degli ultimi, delle periferie esistenziali, del valore del lavoro.

Dopo la pandemia, e la crisi socio-economica che ne è scaturita, saremo tutti chiamati a un inedito impegno che convoca le forze culturali, politiche e sociali a definire un nuovo futuro per il Paese.

Ci sarà ancora molto bisogno di un’indomabile linea editoriale che da cinquant’anni ci accompagna e, mai come oggi, potrà aiutare il giornalismo e la politica a rileggere, per ricostruire, l’Italia del domani.

Andrea Orlando è il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali