Spes contra spem, merita provarci. A ricostruire una coalizione di centrosinistra larga e inclusiva del tipo di quella prospettata dai tre sindaci arancioni Pisapia, Doria e Zedda per le prossime amministrative. Forse si è ancora in tempo. Nonostante si siano accumulati pregiudizi, incomprensioni, furbizie e tatticismi. Su entrambi i fronti, del Pd e di Sel-Sinistra italiana.

Da un lato un Pd i cui comportamenti sembrano sempre più ispirati al modulo del «partito della nazione» senza confini alla sua destra, a una interpretazione della cosiddetta vocazione maggioritaria inclusiva verso il centro ed escludente sul versante di sinistra, incline a investire, come nel caso di Sala a Milano, su candidati privi di un profilo politico riconoscibile e persino fungibili per opposti schieramenti.

Dall’altro Sel-SI attraversati dalla tentazione di fare del Pd il proprio avversario sistemico, di proporsi come obiettivo tattico – con il rischio che inavvertitamente assurga a strategico – quello della sconfitta del Pd renziano e dei suoi candidati, di ripiegare su una linea programmaticamente minoritaria che rinuncia all’ambizione del governo. Una regressione di due caselle, se si considera che la stessa Sel ha alle spalle due dolorose ma feconde scissioni (prima da Bertinotti e poi da Ferrero) proprio in nome della vocazione di governo.

Di più: conoscendoli, faccio fatica a pensare anche il recente approdo di esponenti ex PD (e la costituzione di un nuovo gruppo parlamentare denominato Sinistra Italiana) come conciliabile con una logica minoritaria meramente testimoniale. Che sta stretta al Pisapia di oggi ed è in contrasto con il Vendola governatore di ieri.

Su un punto però essi hanno ragione: il Pd non può invocare l’unità del centrosinistra solo alla vigilia del voto. Come se nulla fosse successo dopo la generale vittoria del centrosinistra nelle precedenti tornate amministrative: la rottura in sede nazionale, le concrete politiche che hanno registrato laceranti divisioni a sinistra, le alleanze spurie del Pd con formazioni di centrodestra persino nella loro denominazione, il sostegno parlamentare da transfughi riconducibili a Fi, una leadership, quella di Renzi, non incline ad adoperarsi per l’unità di un centrosinistra largo.

Ciò detto, non riesco a immaginare che gli appelli all’unità di Lorenzo Guerini, numero due del Pd, anche al netto della sua attitudine mediatoria di marca Dc, non siano concordati con Renzi. Un po’ lo abbiamo capito: è il gioco delle parti tra poliziotto buono e poliziotto cattivo. Non è necessario essere ingenui benpensanti.

La verità è che le prossime amministrative sono un passaggio difficile per il Pd e l’unità del centrosinistra risponde a una sua precisa convenienza. Se è così, perché non «andare a vedere», non approfondire la fattibilità di una ricucitura?

Naturalmente, attraverso un serio confronto, una iniziativa che abbia la portata di un patto politico ancorché limitato alle amministrative. Senza ipotecare il futuro, in ogni senso.

Esemplifico qualche condizione:

  1. che, senza la pretesa di ricomporre ora la frattura sul governo nazionale, tuttavia le parti si impegnino a fare alleanza ovunque nelle amministrative (salvo assolute eccezioni) non limitandosi al caso per caso;
  2. che il Pd escluda programmaticamente alleanze improprie con Ndc-Udc e affini;
  3. che, a sua volta, Sel-SI si disponga a partecipare ovunque alle primarie di coalizione, naturalmente concordando le regole;
  4. che il nuovo patto non impedisca le opposte posizioni sulle riforme costituzionali e quindi del referendum a seguire, da restituire alla sua natura di giudizio di merito sul ddl Boschi e non di plebiscito sul governo.

Insomma, un’intesa politica che governi il passaggio delle amministrative senza la pretesa di risolvere ora tutti i problemi ma, per converso, senza consumare una frattura insanabile e irreversibile.

Non è facile ma sarebbe bene provarci. È nell’interesse di entrambi essere lungimiranti, «pensarsela tutta»: amministrative, referendum costituzionale e infine elezioni politiche regolate dall’Italicum e dunque dal ballottaggio a due.

Sicuri, Pd e Sel-SI, di potersi permettere una divisione senza rimedio? Davvero Renzi fa conto di vincere le politiche al primo turno superando il 40 %? Veramente Sel-SI si vuole consegnare a uno sterile minoritarismo?

* L’autore è deputato del Pd