Il caso degli Spada in fila per il reddito e il populismo penale
Ostia Il Caf della Cisl risponde alle indiscrezioni sui media: «In base alla normativa sulla privacy nessun nostro operatore è autorizzato a fornire informazioni su chi accede agli sportelli»
Ostia Il Caf della Cisl risponde alle indiscrezioni sui media: «In base alla normativa sulla privacy nessun nostro operatore è autorizzato a fornire informazioni su chi accede agli sportelli»
Il Caf della Cisl Lazio, responsabile delle sedi di Ostia, ha precisato che «in base alla normativa sulla privacy nessun nostro operatore è autorizzato a fornire informazioni su chi accede agli sportelli e per quale motivo. Inoltre i servizi del Caf vengono offerti a tutta la cittadinanza». L’uscita è stata resa necessaria da una notizia, apparsa ieri su Il Messaggero, secondo la quale alcuni afferenti alla famiglia Spada sarebbero stati visti in fila per la compilazione dell’Isee e chiedere il «reddito di cittadinanza». Sulla vicenda è intervenuto anche l’avvocato Giosuè Naso, che difende alcuni componenti della famiglia di Ostia: «In quel gruppo familiare ci sono anche non delinquenti, c’è chi si è integrato nella società». «In questi ultimi anni – ha proseguito Naso – da parte della Procura di Roma abbiamo assistito alla criminalizzazione di un’intera famiglia. Sulle richieste di reddito bisogna valutare caso per caso, come per tutti». La notizia ha sollevato un polverone. «Il reddito serve a ridare speranza agli invisibili – ha twittato il vicepremier e ministro del Lavoro Luigi Di Maio – Leggo che alcuni membri del clan Spada avrebbero avanzato richiesta. Non so se è vero, ma posso garantire che chi fa parte del clan Spada non prenderà un solo euro». «Non un euro al clan Spada» ha scritto su Facebook la sindaca di Roma Virginia Raggi.
Il tweet di Di Maio è stata la risposta a una catena di reazioni tese a peggiorare il meccanismo del «reddito» in una polemica che ha coinvolto anche l’ex brigatista Rosario La Paglia in coda in un Caf a Torino, secondo il Corsera. «Quello degli Spada è solo uno dei tanti episodi che avevamo previsto e denunciato – ha detto Maurizio Gasparri (FI) – Il reddito non crea lavoro ma anzi avrà una funzione inversa». Casi come quello ipotizzato a Ostia sarebbero «la conseguenza della bocciatura da parte della maggioranza grillo leghista dell’emendamento di Fratelli d’Italia per escludere dal sussidio chi ha subito condanne superiori a due anni» ha rilanciato Giorgia Meloni.
Se il cognome Spada implicasse di per sé l’appartenenza mafiosa sarebbe più semplice procedere ad arresti in ordine alfabetico, seguendo l’elenco telefonico invece che l’iter processuale previsto dalle leggi. D’altro canto, membri del «clan» Spada che sono stati condannati in via definitiva ma hanno estinto il loro debito con la giustizia hanno diritto al pari di tutti gli altri cittadini a chiedere, ed eventualmente ottenere, il «reddito». Alle orecchie abituate alle sirene del populismo penale suonerà assurdo, si tratta invece di un principio giuridico fondamentale.
Anche le pene accessorie, che possono essere comminate da un giudice oltre il periodo di privazione della libertà personale, non riguardano l’accesso ai servizi di assistenza sociale.
Circostanza diversa sarebbe quella del soggetto condannato per associazione mafiosa. Il 21 febbraio la commissione Lavoro del Senato ha approvato dei correttivi al «decretone» sul reddito escludendo chi ha ricevuto condanne definitive per una serie di reati gravi di natura terroristica o mafiosa, strage e truffa ai danni dello stato. Anche in questo caso, comunque, il rifiuto del reddito andrebbe deciso in riferimento alle responsabilità individuali del singolo individuo sulla scorta di quanto previsto dalla legge. Non certo in base al cognome scritto sulla carta d’identità o seguendo le indicazioni via twitter del ministro del Lavoro.
I casi limite aiutano spesso a evidenziare la razionalità generale di una certa normativa. Un reddito di cittadinanza, universale e incondizionato, dovrebbe porsi l’obiettivo di sottrarre gli individui allo sfruttamento nel mercato del lavoro o a quello delle organizzazioni criminali. Per questo andrebbe garantito anche al soggetto responsabile di reati, ha scontato la sua pena e vuole rientrare nella società. Potrebbe anzi costituire un utile incentivo a rompere i legami di dipendenza materiale da associazioni mafiose e criminali. Questo, però, è solo il reddito dei 5 Stelle e la vendetta e lo stigma contano più della possibile riabilitazione.
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