Il riflesso pavloviano dei prèsidi pronti a issare sul pennone del proprio ateneo la bandiera della “ragion di Stato” della Germania a nome di tutti gli iscritti, palestinesi compresi. E la protesta degli studenti indisponibili all’arruolamento sotto il vessillo unico perché «nell’Università ci sono sensibilità diverse da rispettare» e il diritto alla critica resta sancito in tutti gli statuti, oltre che previsto dalla Costituzione.

Piccola cronaca del corto-circuito culturale, politico, sociale e perfino logico in cui è precipitata l’Accademia tedesca dal 7 ottobre. Come si possono raccontare gli studenti ebrei «contro il massacro di Gaza» che si insultano, in perfetto ebraico, con gli studenti ebrei «contro la strage di Hamas» nelle aule-magne della capitale? Oppure la studentessa di architettura dell’Universität der Kunste (Udk, l’Università delle Arti) di Berlino, con l’ album di famiglia segnato da Auschwitz, preoccupata per il clima che investe i suoi compagni ma pure i professori di origine araba che rischiano il posto di lavoro per un like sbagliato sui social?

Sarà per questo che in Germania quasi nessuno è più disposto ad approfondire le cause del black-out pure sotto gli occhi di tutti. Si rilanciano giusto le notizie che non si possono proprio evitare, come le urticanti sentenze dei tribunali amministrativi della Renania che smontano in punta di diritto il veto allo slogan «Free Palestine, from the River to the Sea» imposto dall’inflessibile ministra dell’Interno Nancy Faeser (Spd). I giudici hanno corretto così, con la penna rossa, la distorsione strumentale del governo: non si tratta di una frase antisemita pro Hamas ma di una rivendicazione a sfondo storico-politico.

IL DISSENSO SGOMBRATO
L’Università ha cominciato ad andare in tilt lo scorso 12 dicembre quando il risultato della «risposta» israeliana all’attacco di Hamas appariva ormai di incontestabile evidenza. Un gruppo di cinquanta studenti ha preso possesso dell’aula magna della Freie Universität (Fu) di Berlino appendendo alle pareti gli striscioni di «stop al genocidio» e contro l’invio di armi (la Germania ha decuplicato le forniture a Israele rispetto al 2022; il 90% degli ordini risulta datato dopo il 7 ottobre). Scopo dell’occupazione: aprire il dibattito sui bombardamenti a Gaza, ovvero sul fatto di cronaca di cui si discute pubblicamente in tutto il mondo, eccetto che nell’Università tedesca.

Finché arriva la polizia. Gli agenti sequestrano il microfono avvertendo subito gli studenti: se insistono saranno identificati e segnalati, chi resiste verrà portato via con la forza. Saranno tutti sgomberati di peso, come prova il video di pubblico dominio rimbalzato sui social e poi rilanciato dai maggiori quotidiani. Con tutti gli effetti del caso; per primo l’inquietante riconoscimento pubblico a Berlino, per la strada, da parte di sconosciuti, di uno degli studenti che hanno partecipato all’occupazione «apostrofato come antisemita». Lo racconta Hanna W, studentessa della Fu seduta al tavolo del bar dell’Università delle Arti accanto ad Annalena B. Anche lei si è ritrovata il volto sparato su un autorevole settimanale di area progressista. Eppure le loro testimonianze scomode quanto alternative sono state sepolte dal rumore delle voci di altri studenti amplificate non solo sulla Berliner Zeitung.

ESMATRICOLAZIONE
«Gli studenti ebrei Lior e Nikita erano in fondo all’aula magna della Fu. Non rivelano il cognome per paura. Confermano che agli studenti ebrei è stato negato l’ingresso in sala. Si dice ci fosse un avviso sulla porta: “Questo è il nostro ateneo e per voi non c’è posto”».
Un «si dice» basta e avanza per bollare l’occupazione degli studenti con il titolo: «Fuori i sionisti dall’Università». Anche se nelle stesse ore gli studenti pro-Israele della galassia dei cosiddetti Anti-Deutsch chiedono ai rettori l’«esmatricolazione» forzata dall’Università per chi protesta nelle aule magne. «Si tratta di studenti influenzati dai gruppi jihadisti» è la tesi su cui sono volate parole grosse e più di qualche spintone fra gli ebrei Anti-Deutsch e gli ebrei contro Netanyahu che non ci stanno a passare per amici di Hamas.

All’Università dell’Arte invece, la scintilla della protesta viene innescata dalla decisione “istintiva” del rettore Nobert Palz di appendere la bandiera israeliana fuori dall’ingresso della sede centrale a due passi dallo Zoologischer Garten. «Abbiamo fatto notare che non ritenevamo corretto si parlasse a nome di tutta la Udk, che è anche di noi studenti. Ha corretto il tiro precisando che l’iniziativa era del solo presidium. Ma nessuno ci ha consultati. Dall’alto hanno fatto finta che non esistessimo. Si sono sbagliati» sottolinea Annalena B.

La rimozione del «grande problema» è anche il nodo intorno a cui ruota la sintomatica testimonianza di Demetrio F, professore a contratto alla Udk. «Il clima è molto pesante. Gli studenti mi hanno contattato chiedendomi aiuto: nessuno dei docenti era disposto, non dico a denunciare, ma neppure ad analizzare la tragedia in corso. Ne ho parlato con una collega tedesca. Mi ha fatto notare che avevo coraggio. Capito? Il fegato di dire una cosa ovvia. E qui siamo all’Università, che dovrebbe essere la culla del pensiero libero e critico».

LA SUPPLENZA DEI GIUDICI
Non è a favore di Hamas, non è illegale e soprattutto è protetto dalla libertà di espressione. Finisce così in Germania la battaglia del governo Scholz contro lo slogan «Palestina libera dal Fiume fino al Mare» ma anche la parallela crociata contro le formule «Israele assassino di bambini» e «Fermate il genocidio a Gaza».

Lo hanno stabilito lo scorso 20 dicembre i tribunali amministrativi di Colonia e Münster accogliendo il ricorso presentato dall’avvocato berlinese Ahmed Abed. Secondo i giudici «le frasi sono sì contro Israele ma non contro la popolazione ebraica in Germania». Di conseguenza non possono passare come una manifestazione di antisemitismo.