È tornato alla sua antica passione e di politica non ne vuole più sapere, il professore Ignazio Marino, neppure dopo che la Cassazione ha chiuso definitivamente in suo favore lo strumentale tormentone «scontrini pazzi» che il M5S e il Pd avevano usato nel 2015 per far cadere la sua scomoda giunta. Ma da Philadelphia, dove ormai vive stabilmente ed è titolare di una prestigiosa cattedra alla Thomas Jefferson University, senza darlo troppo a vedere, mantiene un occhio sulle travagliate vicende del centrosinistra italiano e sulle tristi sorti della sua Roma. Lo sguardo di un «marziano».

C’è qualcuno della vecchia dirigenza del Pd, dei responsabili o dei testimoni della sua defenestrazione, nel 2015, che l’ha chiamata in questi giorni?

Ho ricevuto moltissimi messaggi e telefonate, compresi quelli di funzionari e dipendenti del Comune di Roma e ovviamente quelli di alcuni ex assessori e stretti collaboratori che vissero con me quei 28 mesi in Campidoglio: Giovanni Caudo, Francesca Danese, Alessandra Cattoi e Roberto Tricarico. Mi hanno chiamato anche alcuni parlamentari o ex parlamentari, esponenti del Pd, ex esponenti del Pd. Vuole i nomi? Graziano Delrio, Marianna Madia, Giovanni Legnini, Antonio Bassolino e Annamaria Carloni, Roberto Speranza, Leoluca Orlando. Posso dire in generale che chi mi è stato vicino allora e poi nei momenti più delicati, negli anni a seguire, in queste ultime ore mi ha confermato stima e amicizia. Mi ha fatto certamente piacere. Su WhatsApp però ho centinaia di messaggi ancora da leggere… chissà forse quando riuscirò a leggerli tutti troverò qualche sorpresa.

Ha già detto che per lei quella fase è finita, che vuole rimanere fuori dal «circo della politica», ma la politica non è proprio la volontà e la capacità di andare oltre le sconfitte e fare tesoro delle ferite?

Io sono andato oltre e credo anche di aver fatto tesoro delle ferite che ho subito, oltre che degli errori che ho commesso. Però, ho sempre dichiarato che per me l’impegno politico sarebbe stata una parentesi e che sarei tornato a quello che resta il mio vero lavoro, per me il più bello del mondo: fare il medico, il chirurgo, insegnare agli studenti, i medici di domani, assistere pazienti a cui puoi restituire la speranza, fare ricerca… E così ho fatto. Del resto ho iniziato nel 2006 in Senato e nei quasi 10 anni di impegno politico, nonostante la brusca interruzione del mio mandato da sindaco, ho avviato la discussione sul testamento biologico, la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, il riconoscimento delle unioni civili anche fra partner dello stesso sesso.

C’è qualcosa che non rifarebbe, sia nel Pd che come sindaco?

Innanzitutto non mi fiderei del Partito Democratico nella formazione delle liste elettorali. Nella campagna del 2013 mi affidai completamente al Pd senza pretendere di verificare e conoscere coloro che sarebbero diventati consiglieri, trovandomi poi in aula Giulio Cesare molte persone che rispondevano ai diktat di partito più che al sindaco. Per di più persone che hanno sempre vissuto solo di politica, quindi più facilmente “controllabili” quando hanno ricevuto l’ordine del capo di andare davanti a un notaio per interrompere la consiliatura. Errore numero due: non aver saputo comunicare efficacemente ai romani e alle romane ciò che stavamo facendo, il senso del cambiamento e soprattutto il sistema di potere contro il quale avevamo avviato una battaglia solitaria. Per esempio tutto il marcio che stavamo eliminando dalle aziende partecipate di Roma.

Con il senno di poi, lo slogan «non è politica, è Roma» non ha aiutato i 5 Stelle nel loro messaggio antipolitico?

Sinceramente non credo. Non rinnego quello slogan ma penso che il modo in cui io e la mia squadra lo abbiamo concepito e inteso sia molto lontano dalla vera natura del M5S.

Cosa pensa del nuovo corso del Pd?

Seguo la politica italiana a distanza, forse mi sono perso qualche passaggio fondamentale ma per il momento non comprendo come si possa parlare di un “nuovo corso”. Io mi auguro davvero una nuova stagione di fermento politico sui grandi temi coinvolgendo le persone, trasformando la loro comprensibile disaffezione, ma anche la rabbia e lo scontento, in energia positiva. Non bastano le parole, servono proposte concrete che nascono dalla conoscenza diretta della realtà. Bisogna ascoltare le persone e lavorare per loro, con loro.

Quali sono i peggiori errori della giunta Raggi?

Non c’è una visione di città, non vedo un programma di scelte coerenti, non vedo niente. Le grandi emergenze non sono migliorate, anzi. Molte iniziative da noi avviate sono state inspiegabilmente annullate. Sono stati rimossi manager capaci che avevano portato risultati estremamente positivi: uno spoil system nello stile dei vecchi partiti nonostante vantino di essere diversi… Fa tristezza pensare che la sindaca abbia sostituito alla presidenza dell’Acea una straordinaria professionista come Catia Tomasetti con una persona che poco tempo dopo la nomina è stata arrestata: la giustizia stabilirà se ha commesso reati oppure no, ma l’immagine non è bella. E pensare che Virginia Raggi ha chiesto a me in vari processi risarcimenti per danni di immagine… Governare Roma è complicato ma lo è ancora di più se ci si preoccupa soprattutto di non perdere consensi.

Cosa pensa che possa accadere, e cosa si augura, alle prossime elezioni amministrative a Roma?

Il mio unico pensiero è per le romane e i romani che non meritano certo la situazione di degrado in cui è Roma. Mi auguro che dall’impegno civico di tanti cittadini possa nascere qualcosa di veramente positivo per la Capitale. Ma temo purtroppo che il populismo della destra unito al disfattismo del M5S possa allungare i tempi di una rinascita.

Ma il Pd romano è sulla strada giusta verso il risanamento e la ricostruzione di un rapporto con la città? Sarà in grado di sfidare la destra?

A distanza sarei arrogante nel fare affermazioni definitive. Tuttavia, mi sembra che la leadership del Pd romano sia nelle stesse mani del 2016. Se non si avrà la saggezza di analizzare quanto è accaduto nel 2015 e di promuovere una classe dirigente giovane e non coinvolta con le vicende del passato non ci sarà un cambiamento. Mi permetto un esempio: se io avessi in Chirurgia Generale un chirurgo addominale che continua ad avere morti al tavolo operatorio non sarei molto saggio se proponessi di farlo ruotare e operare l’addome. Le persone non si fiderebbero e cambierebbero ospedale.