Il Cremlino non si è fatto impressionare dal tweet minaccioso di Donald Trump ‎sull’offensiva imminente dell’esercito siriano per la ripresa della regione di Idlib, da ‎anni sotto il controllo di formazioni qaediste e jihadiste. Mosca conferma che si è ‎fatta di nuovo ampia la distanza con le posizioni e i disegni della Casa Bianca per il ‎futuro della Siria. ‎«Il presidente Bashar Assad – aveva scritto lunedì notte Trump – ‎non dovrebbe attaccare sconsideratamente la provincia di Idlib in Siria. Russi e ‎iraniani farebbero un grave errore umanitario nel prendere parte a questa possibile ‎tragedia umana. Centinaia di migliaia di persone potrebbero essere uccise. Non ‎facciamo che questo accada». Ieri la risposta del portavoce di Vladimir Putin, ‎Dmitri Peskov: ‎«la situazione a Idlib rimane fonte di particolare preoccupazione a ‎Mosca come a Damasco, ad Ankara come a Teheran‎» perché ospita un ‎«nido del ‎terrorismo‎». Lanciare avvertimenti ‎«senza considerare il potenziale negativo e di ‎grande pericolo per tutta la situazione in Siria è un approccio incompleto e non ‎globale‎», ha aggiunto Peskov ricordando che Idlib sarà al centro del vertice ‎trilaterale Mosca-Ankara-Teheran previsto per il 7 settembre nella capitale iraniana. ‎I ‎«terroristi a Idlib si sono radicati‎» e ora, ha spiegato il portavoce, oltre ‎a ‎«destabilizzare‎» la Siria e ‎«compromettere‎» il processo di pace, rappresentano una ‎minaccia per le basi russe in Siria e ‎«le forze armate siriane si stanno preparando a ‎risolvere questa situazione‎». ‎

‎ In vista del summit a Tehran l’inviato speciale di Trump per la Siria, James ‎Jeffrey, ha incontrato ieri ad Ankara il ministro della difesa turco Hulusi Akar. ‎Jeffrey ha cercato di concordare una posizione comune su Idlib. Ma sui colloqui ha ‎gravato il gelo che domina le relazioni tra i due paesi. Akar non ha mancato di ‎sottolineare l’irritazione turca per la presenza nel nord della Siria di combattenti ‎curdi delle unità Ypg che Ankara considera terroristi e che mantengono rapporti con ‎Washington. Prima della crisi scoppiata per la detenzione del pastore evangelico ‎Andrew Brunson, Turchia e Usa avevano raggiunto un’intesa per spingere con la ‎forza a est dell’Eufrate le Ypg presenti nella regione di Manbij.‎

‎ Trump si propone come protettore dei civili siriani, circa tre milioni, che vivono ‎nella regione di Idlib descritta dai media americani ed europei, come ‎«l’ultima ‎roccaforte in Siria dei rivelli anti-regime‎‎». In realtà Idlib è una sorta di emirato ‎islamico controllato da jihadisti, salafiti e qaedisti, spesso in lotta tra di loro, che ‎hanno ricevuto armi e milioni di dollari dal Qatar, dall’Arabia saudita, dalla Turchia ‎e anche da alcuni paesi occidentali non per portare in Siria democrazia e rispetto dei ‎diritti umani come qualcuno anche in Italia cerca di far passare da anni, ma per ‎soddisfare i disegni strategici dei loro sponsor e per abbattere il ‎«potere sciita‎» a ‎Damasco rappresentato dal presidente Bashar Assad (un alawita), sostenuto dall’Iran ‎e dal movimento libanese Hezbollah oltre che dalla Russia. Idlib è controllata in ‎buona parte da Hay’at Tahrir a Sham, schieramento dominato dall’ex Fronte an ‎Nusra, ossia il braccio di al Qaeda in Siria. Senza dubbio l’esercito siriano e le ‎formazioni sciite sue alleate devono fare il massimo, durante l’offensiva militare sul ‎punto di scattare, per non coinvolgere i civili in combattimenti e bombardamenti e ‎per garantire alle popolazioni vie di fuga verso aree sicure. Però Donald Trump, che ‎nei giorni scorsi ha negato gli aiuti umanitari a cinque milioni di profughi ‎palestinesi, non ha alcun diritto di intimare ad altri di fare ciò che lui per primo non ‎fa.

‎ Sulla Siria incombe di nuovo lo spettro di un’offensiva militare di Francia, Gb e ‎Stati uniti, pronti ad intervenire ‎«se le forze armate siriane faranno uso di armi ‎chimiche a Idlib‎». I tre paesi la scorsa primavera lanciarono oltre centi missili ‎contro Damasco e altri centri siriani dopo un presunto attacco chimico governativo ‎a Douma, nella Ghouta orientale, mai accertato. Mosca in questi giorni ha avvertito ‎che esiste il rischio che siano proprio i “ribelli” ad usare armi chimiche, attribuendo ‎poi la responsabilità ai governativi in modo da innescare un ampio attacco di ‎americani, francesi e britannici contro Damasco.

‎ Intanto ieri l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus, una ong ‎anti-Assad) ha denunciato che cacciabombardieri russi e siriani hanno lanciato raid a ‎Jisr ash Shughur uccidendo 10 civili, tra i quali cinque bambini. I media statali ‎siriani da parte loro hanno riferito di un ennesimo attacco aereo israeliano contro ‎Wadi Ayoun (Hama) dove hanno ucciso un civile. L’esercito israeliano ieri ha ‎ammesso di aver fornito armi leggere, munizioni e soldi ai gruppi islamisti che ‎combattevano contro l’esercito nel sud della Siria. ‎