Lasciati nel vento: i palloncini con i nomi delle vittime si dissolvono in pochi attimi, disegnando una scia di strazio. Sono le 16.49: è l’ora in cui, il 18 gennaio del 2017, una valanga ha schiacciato e cancellato l’Hotel Rigopiano, a Farindola, complesso di lusso sul versante pescarese del Parco nazionale del Gran Sasso.

UNA SLAVINA DA 1.200 tonnellate che, segando furiosamente la montagna e sradicando centinaia di piante, si è accovacciata sulla struttura, sbriciolandola. Trascinando via alberi e vite. Ventinove i morti, sui quaranta, tra clienti e dipendenti, che erano in quel momento nell’albergo. Cinque anni dopo, le fiaccole sfilano ancora, in ricordo. E rose vengono deposte sulle macerie innevate che la natura non si è ancora ripresa.

L’INGRESSO DELL’ALBERGO è una sorte di altare della memoria e si dipinge di fiori e di angoscia. “Vittime dell’incuria e del menefreghismo. Ora loro non torneranno, ma almeno si faccia giustizia”, incalzano i familiari. “Stiamo peggio, siamo fermi a quel giorno”, dice Mariangela Di Giorgio, madre di Ilaria Di Biase, di Archi (Chieti), deceduta a 22 anni. “Lei era la più giovane tra il personale – ricorda la mamma – Faceva la cuoca. Aveva ricevuto offerte anche dall’estero, ma le aveva rifiutate. Per stare vicino a noi genitori e al suo fidanzatino. Era piccola Ilaria… – racconta piangendo -. Il suo sogno era fare la pasticciera. Sogni sepolti sotto metri di neve e lastroni di ghiaccio”. Il giorno prima del disastro sarebbe dovuta tornare a casa, per il turno di riposo, con la sua Opel Corsa nuova che stava pagando a rate. “’La strada è impraticabile’, mi disse la mattina al telefono. ‘Stiamo aspettando la turbina e ci sono anche scosse di terremoto continue. Abbiamo paura”.

LA TURBINA NON ARRIVÒ mai. “E loro, tutti, ospiti e lavoratori, sono rimasti intrappolati tra quelle mura che all’improvviso si sono trasformate in una tomba bianca. Non hanno fatto nulla per metterli in salvo e neppure ci hanno provato. Passa il tempo, sì, ma la sofferenza non viene lenita. Spero sempre – continua la donna – che sia solo un incubo, che passi, e che Ilaria, da un momento all’altro, apra la porta per rientrare a casa, sfoderando uno dei suoi soliti sorrisi”.

Rigopiano, 22 gennaio 2017 si scava sotto la neve Foto LaPresse

“SIAMO QUI, con lo stesso dolore, che ci porterà alla morte. Siamo qui insieme a tanta rabbia, anche nel vedere queste strade adesso così pulite, nonostante la neve. E pensare che loro avevano chiesto aiuto disperatamente e nessuno è stato capace di salvarli. Eppure i mezzi c’erano”, osserva Paola Ferretti, mamma di Emanuele Bonifazi. Suo figlio, allora, aveva 31 anni. “Sembra che ci hanno passato lo straccio, oggi, su queste vie… ma quel giorno, con la bufera che aveva creato l’inferno, li hanno abbandonati. Sono deceduti implorando e aspettando i soccorsi”, rimarca Marcello Martella, papà di Cecilia, morta anche lei. In corteo il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio: “Una vicenda – dichiara – che ha colpito l’Italia e il mondo intero, tanto è stata unica ed eccezionale nelle sue dimensioni e nella sua tragicità. Oggi è quasi un luogo comune dire ‘non finisca come a Rigopiano’. Si è certamente incrementata la consapevolezza e l’attenzione sui temi della sicurezza e della prevenzione”. E’ arrivato il “saluto sentito e partecipe, anche personale” del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che sottolinea che è “ancora viva la memoria del dolore”.

E IL PREMIER Mario Draghi, in una lettera mandata al Comitato Vittime di Rigopiano, rammenta che “la ricorrenza è l’occasione per onorare la memoria di chi perse la vita in quella tragica notte e costituisce la spinta a rafforzare responsabilmente l’impegno per la tutela del territorio e la salvaguardia della pubblica incolumità”. Comitato che torna ad incalzare la magistratura e le sue lungaggini. “Purtroppo, – viene evidenziato da parenti e familiari – siamo ancora alle fasi preliminari del processo, con inenarrabili perdite di tempo, con perizie infinite. Veniamo sbatacchiati da un’udienza all’altra, da un rinvio all’altro, da un’eccezione all’altra. La pazienza comincia a finire in noi, che dopo il danno estremo subito, non vorremmo dover sopportare anche la beffa. Mai più un dramma simile, e affinché questo si avveri, c’è bisogno di andare avanti con il processo per ottenere sentenze definitive e la certezza delle pene. La verità è che stiamo aspettando la verità… Di sapere nomi e cognomi di chi non ha fatto il proprio dovere”.

IL PROCESSO CONTA TRENTA imputati. “Diversi indagati, soprattutto tra i politici, sono già usciti di scena”. I reati contestati vanno, a vario titolo, dal crollo di costruzioni o altri disastri colposi, all’omicidio e lesioni colpose, all’abuso d’ufficio, al falso ideologico. “Temiamo che si arrivi alla prescrizione. E’ stata, fino a questo punto, una lunga e logorante attesa. Speriamo che il 2022 sia l’anno che porti la giustizia che queste anime innocenti meritano e che noi invochiamo per loro. Dovrà essere l’anno buono, perché la misura è colma e non si può più accettare alcuna scusante”.