Un giro nelle scuole per reclutare giocatori di basket, un anno di allenamenti e il primo torneo Uisp alle spalle, 38 ragazzi e due ragazze dai 13 ai 15 anni si sono preparati per fare questo autunno il salto nel circuito della Federazione italiana pallacanestro ma il salto non si può fare: sono nati in Italia ma non sono italiani, hanno vissuto tutta la vita a Castel Volturno ma per la Fip sono stranieri e, come stranieri, possono essere massimo due per squadra.

Sono i figli dei migranti arrivati sul litorale domitio negli anni Novanta, una comunità di almeno 15mila abitanti, la maggior parte irregolari, talmente numerosa che il governo ha mandato un commissario per studiare vie di uscita dall’illegalità. I ragazzi vanno a scuola, i genitori hanno situazioni lavorative difficili, non ci sono i soldi per pagare una retta sportiva o l’attrezzatura né il tempo per portarli avanti e indietro dalla palestra. Poi arriva un coach con l’idea che chi ha avuto successo deve aiutare la comunità e le cose cambiano.

È la storia della Tam Tam Basket, la squadra allenata da Massimo Antonelli, ex giocatore della Virtus Bologna approdato poi a Napoli, dove ha chiuso la carriera da cestista nel 1985. Dai palazzetti non è mai andato via: dalla panchina ha brevettato un metodo di allenamento, Music basketball method, che mixa atletismo e ritmo e, da uomo di sport, ha deciso di applicare la giving back philosophy.

«Sono andato nelle scuole – racconta – e ho individuato 31 ragazzi, 17 figli di migranti e 14 autoctoni. Il primo giorno di allenamento erano solo in 12, 4 i bianchi. Per arrivare in palestra bisognava fare un percorso lungo, i ragazzi bianchi sono diminuiti fino a sparire del tutto mentre i ragazzi neri sono via via aumentati. Restano ad allenarsi anche 4 ore, per farli smettere ti devi imporre. A casa non hanno nulla, nemmeno internet. I genitori lavorano tutto il giorno. Si allenavano con le polacchine ai piedi, quello che trovavano, fino a quando abbiamo trovato delle scarpette per loro. Ma hanno un sogno e sono determinati. Le due ragazze stanno reclutando le amiche. Quello che hanno ottenuto se lo sono guadagnato sul campo».

In quaranta hanno superato le difficoltà: ore di viaggio a piedi o in autobus, quando non c’è il controllore, il certificato medico che non arrivava fino a che l’allenatore non li ha portati in un centro specializzato. Ma sono andati a sbattere contro i regolamenti: dai 13 ai 18 anni sono considerati stranieri. Il parlamento tiene in ostaggio la legge sullo Ius soli e loro non possono giocare, se chiedi cosa si prova ti rispondono: «Non è giusto, mi fa arrabbiare, è una ferita al cuore. Sono straniero? Ma se sono nato qui». Sono scugnizzi di Castel Volturno, racconta Maurizio Imparato, che collabora con la squadra, «hanno lo stesso linguaggio e desideri dei coetanei che abitano questa fetta di territorio tra Caserta e il basso Lazio».

Per mettere su la squadra c’è stato un crowdfunding: 249 sottoscrizioni per un totale di 10mila euro. Nessuna retta da pagare, all’inizio si allenavano nella palestra di una scuola poi su un campetto all’aperto in uno dei condomini del Villaggio Coppola, il Parco Saraceno: alle spalle il mare, intorno palazzoni deserti, sotto i piedi cemento scalcinato. I canestri li hanno messi loro, con i fondi hanno anche sistemato il palazzetto dello sport di Castel Volturno e, infine, è arrivato anche un pulmino per gli spostamenti. Antonelli lavora a un progetto: cento iscritti in un triennio per mettere su una società sportiva che li sappia seguire anche nel percorso di crescita fuori dalla palestra.

L’ostacolo più grosso è la Federazione italiana pallacanestro così al Coni e alla Fip è stato inviato un appello: «Consentite che i ragazzi della Tam Tam possano continuare il proprio sogno». Tra i sottoscrittori il cestista Nba Linton Johnson, trasferitosi a viveva in Italia. «Potremmo chiedere una deroga ma tutti devono poter avere accesso alla sport – conclude Antonelli – perciò è il regolamento che deve cambiare. A 18 anni avranno comunque la cittadinanza ma, con lo sport, avranno imparato a sviluppare il loro talento invece di sprecarlo. Con Tam Tam soffia il vento del cambiamento, come direbbe Bob Dylan».