La Corte d’Appello di Catanzaro ha trattenuto in decisione la nuova richiesta di rinvio alla Consulta della legge elettorale nota come Italicum. Come è noto, su remissione dei Tribunali di Messina e Genova, la Suprema Corte l’ha dichiarata incostituzionale sotto due specifici profili.

Questi due profili sono: a) la previsione di un secondo turno di ballottaggio finalizzato alla acquisizione di un premio di maggioranza abnorme e; b) la possibilità dei capilista candidati in più collegi di scegliere quello di elezione, determinando così, in parte, ed in maniera arbitrariamente discrezionale la composizione dell’organo parlamentare.

Come è stato più volte detto – e in maniera autorevole e convincente – la Corte non poteva fare di più ma il risultato residuale in termini di immediata applicazione di una legge elettorale tale da rendere possibile in teoria, l’esercizio del voto, è che – restando in vigore il premio di maggioranza per la lista che dovesse avere più del 40% dei voti nonché il sistema dei capilista nominati (ed eletti senza voti) si potrebbe – sempre in teoria – pervenire a risultati ancora più aberranti, e incostituzionali, di prima. Si potrebbe, cioè, avere un parlamento composto, di nuovo, tutto da nominati nel caso – possibile e non improbabile – che nessuna lista raggiungesse, ad esempio, il 16% dei suffragi. Oppure che ove due liste si posizionassero rispettivamente al 40,01%, ed al 39,99%, alla prima, superiore rispetto alla seconda per poche migliaia di voti, spetterebbero ben 150 deputati in più. Con una evidente distorsione, incostituzionale, del principio di proporzionalità tra voto e seggi parlamentari.

A CIÒ SI AGGIUNGE CHE I CASI DI CUi sopra sono tutti relativi alla applicazione delle norme vigenti per la composizione della sola Camera dei Deputati (perché, come tutti ricordiamo, il dr. Renzi e l’avv.ssa Boschi non pensavano lontanamente, all’epoca della imposizione della loro legge, che il popolo italiano avrebbe respinto con un sonoro no da 20 milioni la loro proposta di trasformare il Senato in un dopolavoro di consiglieri regionale).- Per cui, combinando le possibili maggioranze della Camera (eletta con l’Italicum) con le diverse rappresentanze del Senato (eletto con il proporzionale) potrebbe facilmente realizzarsi l’ingovernabilità che gli statisti toscani avrebbero voluto scongiurare senza sapere come e quindi semplicemente scassinando la Costituzione. Il risultato di tanta incompetenza e irresponsabilità è un papocchio incredibile.

LA CONSULTA, NELLA SENTENZA 35/2017, non ha considerato questi argomenti, perché non posti dai giudici remittenti o formulati in maniera tale da non poter condurre neanche alla loro semplice valutazione. Questo il motivo per cui sono stati riproposti, con argomentazioni che gli estensori ritengono più chiare, dinanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro.

LA PRIMA È QUELLA potenzialmente dirimente e riguarda una forzatura di palmare evidenza: il motivo della esclusione delle leggi elettorali della gamma di quelle sulle quali può essere chiesta la fiducia è che il voto di fiducia (sulla base del quale è stato approvato l’Italicum) è un giudizio sull’operato dell’esecutivo e non sulla condivisione della legge. Ed il governo, che è espressione di parte, non può fondare la sua permanenza al potere su una legge elettorale che disciplina la formazione della rappresentanza del popolo, materia che – di tutta evidenza – è di esclusiva pertinenza del Parlamento. La controprova della stoltezza di una simile esibizione di forza sta nei libri di storia.

La fiducia per una legge elettorale è stata chiesta solo dal fascismo (la cosiddetta Legge Acerbi), e, in epoca repubblicana, in occasione di una legge che fu denominata, guarda un po’, «legge truffa». La seconda è che non si vede perché una legge funzionale a comporre un organo legislativo debba prevedere un premio cosiddetto di «governabilità» che è un concetto estraneo alla Costituzione, nella quale, invece, è insito il principio della rappresentanza (che nel caso dell’Italicum è stato, come visto, brutalmente violentato).

ANCHE QUI, È FACILMENTE intuibile come una maggioranza imposta contro il (o senza tener conto del) volere del popolo elettore e con il pretesto della esigenza della governabilità è il cavallo di Troia che contiene la deriva autoritaria.

Nelle democrazie serie e mature la governabilità non è quantità (tanti parlamentari fedeli ed indifferenti alle sorti degli elettori perché solo dal capo dipende la loro nomina) ma è qualità (tanti parlamentari rappresentativi di territori, settori sociali, classi popolari che si mettono d’accordo nell’interesse dei rappresentati).

LA TERZA È SULLE NOMINE le quali – si è detto – sarebbero legittime perché rimesse ai partiti che sono enti previsti dalla Costituzione. In realtà – a ben leggere – il soggetto dell’art. 49 Costituzione sono i cittadini laddove i partiti hanno una mera funzione servente rispetto al diritto di questi a concorrere a determinare – con metodo democratico – la politica del Paese. Dunque essi – i cittadini e non i partiti – conservano, inalienabilmente il diritto di scelta degli eletti, di tutti gli eletti.

IN ALTRE PAROLE I PARTITI possono solo proporre i candidati, non imporne l’elezione a scapito della libera scelta degli elettori. Sembrano – e sono – argomenti semplici e di puro buon senso. Ma estranei, proprio per questo, alla sensibilità ed alla cultura di un Parlamento abusivo (quale, ricordiamolo sempre, è quello ancora in carica) votato solo alla autoconservazione con disprezzo per i cittadini.