Il Partito popolare europeo cerca di accordare gli strumenti sul ritmo dell’estrema destra, a cominciare dall’immigrazione. Riunito in congresso per due giorni a Bucarest, il principale gruppo politico del Parlamento europeo – che ostenta sicurezza nel confermare questa posizione all’uscita del voto del prossimo giugno – ha presentato un Manifesto elettorale che dà ampio spazio a una “riforma” del Patto asilo immigrazione oggi in vigore, norme recenti che hanno sancito un rafforzamento dei controlli degli arrivi nella Ue, accanto a un programma di solidarietà nello spartirsi l’accoglienza.

Il Ppe è a favore di un «cambiamento fondamentale» nel diritto d’asilo europeo e propone il trasferimento dei richiedenti asilo verso paesi terzi cosiddetti “sicuri”, dove verrà esaminata la domanda. E «in caso di risposta positiva», la destra popolare si avventura su un terreno giuridicamente ambiguo: «il paese terzo accorda protezione sul posto» al richiedente asilo, la cui domanda è stata accettata. È un’idea che è stata avanzata dalla tedesca Cdu, che ha anche evocato i «paesi sicuri» a cui pensa: Ruanda, Ghana, pure Georgia e Moldavia.

Per il Ruanda il modello è quello di Rishi Sunak, che ha difficoltà a farlo passare in Gran Bretagna. Ma il Ppe, che finora ha fatto eleggere i propri rappresentanti ai top jobs di Bruxelles (Commissione e presidenza del Parlamento) con un’alleanza tradizionale con il gruppo S&D e i liberali di Renew, punta ormai ad allargare la base corteggiando parte di Ecr, il gruppo di estrema destra di cui fanno parte Fratelli d’Italia (Giorgia Meloni è la presidente), il Pis polacco, lo spagnolo Vox e da poco anche Reconquete!, il partito xenofobo del francese Eric Zemmour, tra gli altri.

I SONDAGGI ANNUNCIANO un avanzamento dell’estrema destra alle prossime europee: Id, il gruppo con la Lega e il Rassemblement national di Marine Le Pen, e Ecr potrebbero ottenere 160 seggi su 705 deputati, i liberali di Renew, oggi al terzo posto, rischiano di essere relegati al quinto. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha accompagnato Giorgia Meloni in Tunisia, in occasione della firma dell’accordo con l’Italia, paese che aveva già concluso un’intesa di “esternalizzazione” della gestione dei migranti con l’Albania.

Nel 2022, la commissaria agli Affari interni, Ylva Johansson, aveva però affermato: «L’esternalizzazione delle procedure d’asilo non è una politica migratoria umana e degna». Ma nel 2023 è stato registrato un record di domande d’asilo, un milione, soprattutto da Siria e Afghanistan.

OLTRE ALL’INSISTENZA sulla Difesa, il Ppe ha deciso di dare battaglia per le europee sul tema preferito dall’estrema destra, l’immigrazione, con il rischio di legittimare gli estremisti. «Siamo noi a decidere, non i trafficanti» afferma il capogruppo Ppe al Parlamento europeo, Manfred Weber.

Anche sulle politiche verdi la strada è segnata: dopo aver fatto indietreggiare la Commissione sul Green deal, il Ppe nel suo Manifesto mette nero su bianco il nuovo approccio: «L’Europa non deve deindustrializzarsi seguendo questo percorso ambizioso ma, al contrario, deve mostrare al mondo che la trasformazione a zero emissioni di carbonio può essere raggiunta con successo attraverso le nostre attività».

OGGI AL CONGRESSO di Bucarest, la presidente uscente, Ursula von der Leyen, dovrebbe venire confermata come spitzenkandidat alla testa della prossima Commissione. Nel 2019, era stata eletta per soli 9 voti, da una coalizione Ppe, S&D e Renew. Per confermare un secondo mandato, avrà bisogno di rinforzi e pensa di trovarli in parte di Ecr, aprendo quindi la maggioranza all’estrema destra atlantista. Tanto più che i francesi di Les Républicains hanno scritto una lettera al segretario generale del Ppe, il greco Thanasis Bakolas, per contestare l’appoggio a von der Leyen, «la candidata di Macron». Dei voti potrebbero mancare per l’ex ministra di Merkel. L’accordo tradizionale del Ppe con i socialisti deve fronteggiare degli ostacoli.

Al convegno dei socialisti, la scorsa settimana a Roma, il Manifesto elettorale esorta a combattere l’estrema destra e accusa il Ppe di distruggere la stabilità e il progetto europeo: «condanniamo i partiti conservatori e liberali che hanno permesso all’estrema destra di andare al potere. È un insulto ai nostri valori e alla storia europea». Ma Bakolas è arrogante: «Siamo noi a gestire l’agenda».

Il Ppe punta a occupare tre dei quattro top jobs di Bruxelles: non solo più presidenza di Commissione e Parlamento (oggi von der Leyen e Metsola), ma anche a piazzare il capo della diplomazia (al posto del socialista Josep Borrell). Il Ppe controlla 12 sui 27 governi dei paesi Ue (i socialisti ne hanno tre, Germania, Spagna, Danimarca più il Portogallo ma solo per la gestione corrente). In Italia e Finlandia il Ppe ha realizzato l’intesa con l’estrema destra, in Svezia l’estrema destra dà l’appoggio esterno.