I nostri sonnambuli si sono svegliati bruscamente con la testa nel vaso di pandora di una guerra voluta da Trump contro l’Iran e i piedi insabbiati nel conflitto libico sotto casa. Noi da inguaribili catenacciari vorremmo venirne fuori con un pareggio: ma è un’illusione.

In Iraq dove abbiamo oltre 900 soldati e non sappiamo bene cosa farne ha già deciso Trump che vuole un maggiore impegno della Nato: figuriamoci se non ci accodiamo. In poche parole Trump vuole sostituire le truppe americane con quelle europee e atlantiche, mantenere quindi la presenza in Iraq, ridurre il rischio di perdite umane per gli Usa e trasferirlo agli alleati occidentali in modo da potere condurre a mano libera il prossimo capitolo della guerra missilistica e dei droni contro Teheran.
Altro che pareggio, come può sembrare dopo la raffica di missili iraniani sulle basi Usa in Iraq: il presidente americano intende in futuro proseguire il conflitto e usarci a terra come carne da cannone. Che poi ieri nella vendetta iraniana per il “martire” Qassem Soleimani non ci siano state, secondo Trump, perdite americane appare tutto da verificare: se fosse vero questo sarebbe il raid più “telefonato” della storia recente.

In Libia decidono per noi Erdogan e Putin mentre all’Italia, grazie probabilmente a una mediazione del Cremlino, è stata lasciata una passerella diplomatica con il generale Khalifa Haftar a Palazzo Chigi. Sarraj, che obbedisce ormai solo a Erdogan, non si è fatto vedere.

 

Giuseppe Conte con il generale Haftar ieri a Palazzo Chigi (LaPresse)

 

Erdogan e Putin sono favorevoli a una tregua a partire da domenica in Libia e attraverso i loro alleati hanno di fatto in mano la sorte dei nostri interessi energetici libici mentre il leader turco ribadisce un diritto di sovranità sul gas che anche l’Italia estrae dalla piattaforma greca e cipriota. Mattarella nel suo discorso di Capodanno disse che siamo «protesi nel Mediterraneo» e «all’incrocio dei processi regionali»: qui è meglio non infierire perché i sonnambuli potrebbero avere improvvisi e fatali risvegli.
Gli interessi nazionali italiani così sono stati stati serviti in salsa turca ad Ankara dove Putin è andato a inaugurare il Turkish Stream, che è bene ricordarlo, ha sostituito il progetto italiano della Saipem bloccato da Europa e Stati uniti. Agli italici sonnambuli resta il gasdotto Green Stream con la Libia e i pozzi petroliferi Eni la cui sorte dipende da come Mosca e Ankara manovreranno Haftar e Sarraj.

Sul fronte Iran-Iraq i sonnambuli che tengono le nostre truppe laggiù, infilate nei bunker o spostate in velocità da una parte all’altra del Paese, sperano nel pareggio, ovvero che la raffica di missili iraniani sia l’episodio conclusivo seguito all’atto di guerra di Trump con cui ha assassinato il generale Qassem Soleimani all’aereoporto civile di Baghdad.

Questo atteggiamento in cui rifulge il genio italico dell’inguattamento e una mentalità da catenaccio è accompagna dalla “campagna di rettifica” della stampa italiana. Secondo la quale: 1) Gli italiani sono benvoluti sia da iracheni che iraniani. Ignorando che in caso di guerra e attentati può accadere qualunque cosa, come ci insegnò nel 2003 la tragedia di Nassiriya. Inoltre gli italiani fanno parte della Nato e gli Usa impiegano basi come Sigonella e Niscemi per colpire ovunque senza informarci di nulla. Siamo coinvolti nelle guerre di Trump ma facciamo fatica a smarcarci 2) Nella campagna di rettifica rientra anche accreditare che sia stato l’Iran a cominciare questo conflitto e che il generale Qassem Soleimani stava organizzando devastanti attentati. Non solo. Si dice che l’Iran potrebbe procurarsi l’atomica ma si trascura di sottolineare che Trump ha stracciato l’accordo sul nucleare del 2015 perché voleva rinegoziarlo nella parte missilistica ma non ha fatto nulla al riguardo. Insomma si cerca in ogni modo di addossare la tensione nell’area agli iraniani.

Così si coltivano nuove e pericolose illusioni. L’escalation tra Usa e Iran si può fermare ma siamo soltanto al primo capitolo della quarta guerra del Golfo preceduta da altre due guerre anti-iraniane, quella in Siria – alimentata dalla Turchia, dalle monarchie arabe e incoraggiata dall’ex segretario di stato Hillary Clinton – e in Iraq, condotta dall’Isis contro il governo sciita di Baghdad. In questi due Paesi il terrorismo è stato combattuto da iraniani, russi, Hezbollah, curdi siriani, siriani e milizie irachene che hanno fermato i jihadisti su due fronti: senza Soleimani il Califfato sarebbe entrato anche a Baghdad.
L’unica cosa che ha in mente Trump da quando è salito alla presidenza è eliminare il regime iraniano su pressione di Israele e dell’Arabia saudita. Ha stracciato l’accordo sul nucleare civile del 2015 voluto da Obama, ma nasconde che Israele ha 200 testate atomiche, imposto sanzioni giugulatorie a Teheran per soffocarne l’economia, ha riconosciuto l’annessione israeliana del Golan e di Gerusalemme, stretto la mano al principe assassino Mohammed bin Salman, che è il suo maggiore acquirente di armi, e poi ha provocato Teheran uccidendo il vero numero due iraniano. La sua versione della storia che ha combattuto il terrorismo serve come fumo negli occhi per il prossimo strike.