A volte la bellezza si manifesta come un lampo di fronte ai nostri occhi. Altre si svela solo dopo una lunga ricerca. È il caso del Centro Ecumenico Agape, uno spazio affiliato alla chiesa valdese, raggiungibile solo a patto di inoltrarsi nelle valli strette e selvagge delle Alpi Occidentali.
In questa struttura si è tenuto la scorsa settimana il Campo Politico Femminista che quest’anno giunge alla sua 44° edizione.
Fino a due anni fa si chiamava Campo Politico Donne, ma la nozione di «donna» è risultata troppo angusta al team di organizzatrici, «la staffa» come viene chiamata, alla luce delle nuove esigenze dei corpi in lotta e degli sviluppi del pensiero queer e transfemminista. Il Campo dura una settimana.
Il tempo si fa denso, il resto del mondo scompare. I giorni sono scanditi da laboratori, workshop, riunioni, ma anche musica, danze e vino. Quest’anno c’erano circa sessanta partecipanti, provenienti da tutta Italia, qualcuna anche dalla Francia, distribuite su un arco generazionale molto ampio.

DURANTE IL CAMPO ad Agape si fa vita comune, e questo segna una differenza con le iniziative che avvengono altrove. Si condividono le stanze che non sono mai singole, si mangia tutte insieme in una grande sala con i tavoli di legno, circondate da finestre enormi che sembra quasi di poter toccare le montagne fuori. Si condividono i bagni, uno per piano, si condividono i momenti di calo e quelli di euforia. L’obiettivo è proprio la condivisione di uno spazio emotivo intimo, che nella quotidianità del singolo è sempre più residuale.

La struttura del centro valdese sembra essere stata progettata ad hoc per questa funzione. Costruito da volontari accorsi da tutto il mondo sulle pendici della Val Germanasca nel 1947, quando ancora bruciavano le ferite della guerra, il centro Agape voleva essere, fin dal principio, un simbolo di riconciliazione. Un luogo dove tutte le nazionalità e tutti i credi potessero incontrarsi e confrontarsi.

LA VOCAZIONE del centro è perfettamente rappresentata dalla sua struttura architettonica, curata dall’avanguardista Leonardo Ricci, pensata per adeguarsi all’uso dello spazio e alle relazioni che lo percorrono. Per una settimana le relazioni del Campo Politico Femminista infatti fluiscono libere tra le stanze, i cortili, i piani alternati di questo luogo che mescola continuamente spazi interni ed esterni. E proprio alle «relazioni femministe» è dedicato il focus del Campo di quest’anno.

LA CONNESSIONE intima tra noi e i nostri affetti è spesso costretta dentro modelli violenti e inadeguati. O inquinata da rapporti di dominio e potere. Sviluppare relazioni femministe è un lavoro lungo una vita che richiede ascolto e decostruzione, ma anche la consapevolezza di non essere sole. «Auguro a tutte le donne del mondo di incontrare il femminismo nella loro vita» dice qualcuna. Coppie lesbo, triangoli amorosi, famiglie allargate, amicizie erotiche, e amori casti che durano una vita. L’obiettivo è quello di costruire insieme la possibilità di articolare una sfera relazionale a misura dei nostri desideri. «Brucio il patriarcato, la violenza, la paura, la mancanza di autostima delle donne, la depressione delle donne, la mancanza di solidarietà» dice un’altra, mentre in circolo intorno a un fuoco si gettano messaggi scritti al potere catartico delle fiamme. Se c’è una cosa che non manca nel Campo sono le risate e le lacrime. Il potersi raccontare, la libertà di essere, producono una gioia contagiosa. Allo stesso tempo, nelle donne che si scoprono, emergono le ferite più profonde. Ognuna ha sofferto, anche e proprio per il fatto di essere donna, ognuna sa di cosa parla l’altra che racconta una violenza subita.

COME L’ARTE GIAPPONESE del kintsugi che usando oro e argento liquido per riattaccare i pezzi degli oggetti rotti, li rende più belli di prima. Le relazioni femministe sono prima di tutto questo, riparazione, oro liquido sulle fratture. Tra i laboratori che si sono tenuti molti hanno a che fare con il corpo. Ad esempio c’è stato il laboratorio di massaggio, «il massaggio di solito ha due connotazioni, quella medico-estetica per cui si curano i difetti fisici, oppure quella strettamente erotica legata ai preliminari di un rapporto sessuale. Il massaggio come espressione di conforto e affettività disinteressata invece è una pratica tutta da inventare».

IL CORPO È il centro delle politiche e delle pratiche violente che le donne subiscono ogni giorno. Allo stesso tempo è il nucleo che non può essere mai del tutto sottratto e da cui si può ripartire per creare relazioni femministe. Un altro laboratorio, tenuto dalle artiste di Tango Fem, ha provato a riflettere sulle relazioni femministe attraverso il ballo. Nel tango chi guida, per farlo al meglio, deve innanzitutto cedere potere. Chi guida in realtà deve ascoltare il corpo dell’altro, che segue, in modo da condurre con delicatezza entrambi sulla vertigine della musica. Il potere viene sabotato e si trasforma in ascolto. Allo stesso tempo uno degli elementi fondamentali per trovare la sinergia nel tango è la comunicazione. Per funzionare i segnali corporei che si inviano all’altro devono essere chiari e solidi. Ti prendo la mano. Ti stringo. Attraverso lo spazio che ci separa. Nel tango non c’è spazio per i segnali ambigui. Come nelle relazioni femministe. «I nostri corpi non sono superfici. I nostri corpi sono oceani. Dove perdersi. Da esplorare.» dice qualcuna stesa sul prato in mezzo alle altre.

«SONO FEMMINISTA sempre. In qualsiasi contesto. E ogni volta che mi rendo conto di ricoprire una posizione di potere provo ad usarla per diffondere le pratiche e il pensiero transfemminista.» sento dire mentre si chiacchera sedute a tavola dopo pranzo. Nel Campo femminista di Agape, le discussioni avvengono ovunque, nei laboratori, di notte guardando le stelle sotto una coperta, mentre si apparecchia la tavola. Il sapere fluisce tra i corpi seguendo direttrici ingarbugliate. Un altro dei laboratori praticati punta a sovvertire proprio i modelli di trasmissione del sapere. Non più lo studio individuale, ma la lettura collettiva. Non la lezione frontale, ma la percezione sensoriale. Non un linguaggio a cui uniformarsi, ma un tessuto linguistico ibrido che si adatta a chi lo usa. Si legge un testo, ancora non tradotto in italiano, dell’autrice francese Monique Wittig «Brouillon pour un dictionnaire des amantes». Il testo viene letto in lingua originale e tradotto collettivamente usando un miscuglio di francese, italiano, dialetti, e altre lingue di appoggio, il melangiato. Si legge con la voce ma anche con il corpo, provando a performare ciò che emerge dalle pagine. Alla lettera A compare il verbo Avere, secondo Wittig e le relazioni femministe immaginate, nel futuro questo verbo nel suo significato di possedere sarà caduto in disuso.

«LA CURA può essere una trappola per le donne. Tutti si aspettano la cura da parte nostra e questo può provocare un esaurimento. Dobbiamo imparare a sottrarci alla trappola emotiva della cura, avere persone intorno in grado di farsene carico al posto nostro. La cura è un atto d’amore solo quando abbiamo davvero voglia di donarla a qualcuno.» In questi giorni segnati dalla precarietà e dalla stanchezza, a volte prendersi cura degli altri è un’insostenibile fatica. Nelle relazioni femministe ci si può riposare dalle aspettative e agire solo per desiderio. «Le relazioni femministe sono il luogo in cui poter tornare, quando senti che non puoi andare da nessuna parte» dice qualcuna mentre racconta il suo ritorno.

IL CENTRO Ecumenico Agape ha fatto da contenitore a questo laboratorio di esistenza libera. Sui muri in roccia del tempio valdese, un cortile circondato da pareti semi piene, campeggia una scritta che si intravede appena. È tratta dall’Enciclica di San Palo ai Corinzi. Per quanto la religione sia molto spesso nemica delle donne e del femminismo, il Centro Agape costituisce una felice anomalia, i motivi sono tanti ma ben riassunti nella scritta stessa: «L’amore non verrà mai meno.»