«Le nuvole di guerra si stanno alzando di nuovo, non riesco a dormire perché ho tanta paura». Da questi versi cantati dall’attivista Yamasato Setsuko prende il titolo Ikusafumu (Clouds of War), il nuovo documentario della giornalista e regista Mikami Chie, lavoro che esplora la trasformazione delle isole meridionali della prefettura di Okinawa, quelle più vicine a Taiwan, in una zona fortemente militarizzata, in preparazione alla prossima guerra.
Mikami nell’ultimo decennio ha realizzato un paio di documentari che indagano e mettono in luce la situazione presente, ma anche passata, di una storia che sembra ritornare in modi diversi ma sempre uguale, nelle isole di Okinawa. Se The Targeted Village (2013) racconta della resistenza degli abitanti del villaggio di Takae contro la presenza di basi americane nella zona, Boy Soldiers: the Secret War in Okinawa (2018) rivela dei soldati bambini arruolati negli ultimi atti del secondo conflitto mondiale.

In Ikusafumu, Mikami e la sua troupe mostrano come, nel corso degli ultimi otto anni, dal 2017 fino ad oggi, le isole di Yonaguni, Miyako, Ishigaki, Amami Oshima e anche l’isola principale di Okinawa siano a poco a poco diventate territori per la costruzione di complessi militari da parte delle forze di autodifesa giapponesi, con l’appoggio di quelle americane. In preparazione per un possibile conflitto fra Taiwan e Cina, questi territori diventerebbero luogo strategico per l’alleanza nippo-americana, sancita in questo contesto dall’accordo Keen-Sword 23, da usare per difendere l’isola-nazione dal possibile attacco cinese. Nel periodo coperto dal documentario, le isole hanno visto un’espansione su larga scala di depositi di munizioni, costruzioni di basi sotterranee, arrivo di missili in gran quantità, nonché un piano per evacuare tutti gli abitanti delle isole. Un quadro non troppo coperto dai media tradizionali dell’arcipelago, ma che tratteggia uno scenario agghiacciante e purtroppo non più inverosimile.
Questa follia ed escalation militare viene venduta alle popolazioni locali come necessaria difesa, ma una parte degli abitanti, in tutti questi anni, ha continuato a manifestare e protestare, anche se non manca chi si è abbandonato al fatalismo.

Ikusafumu non solo rivela quello che sta succedendo nelle isole con immagini che mostrano come il paesaggio sia cambiato e come ogni anno che passa si vedono più veicoli militari e navi delle forze di difesa, ma dedica ampio spazio anche alla vita quotidiana degli abitanti dell’isola. Se il difetto maggiore del documentario è il tono e la struttura eccessivamente giornalistica, le parti migliori sono quelle che mettono insieme il carattere informativo con scene di feste tradizionali dove partecipano sia gli abitanti del villaggio che membri delle forze di autodifesa giapponesi.
Notevoli sono anche le scene in cui alcuni cittadini vengono informati sul fatto che, in caso di attacco, dovranno rifugiarsi in appositi luoghi costruiti sottoterra. Questo riporta subito alla mente, per le generazioni più anziane ma non solo, le ferite della Seconda guerra mondiale ancora aperte nell’arcipelago di Okinawa, i gama. Si tratta di grotte carsiche naturali che furono usate negli ultimi atti del conflitto da parte della popolazione del luogo, per ripararsi dagli attacchi alleati. Furono dei luoghi dove avvennero anche dei massacri e dei «suicidi» forzati, causati dalle ondate di panico e dai pochi militari giapponesi che invitarono le persone comuni a togliersi la vita davanti alla sconfitta imminente.

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