In quella grande tragedia che è stata la Seconda guerra mondiale e il nazifascismo, c’è anche qualcuno, per fortuna, che è riuscito a scampare a quell’ancora più immane catastrofe che fu la shoah.

Centinaia di bambini ebrei, infatti, vennero sbattuti fuori nel 1939 dalla Polonia occupata da tedeschi e russi (il famigerato patto Ribbentrop-Molotov) e costretti a un lungo e doloroso viaggio che, nel 1941, li portò in Iran.

A raccontare questo episodio poco conosciuto è Farian Sabahi nel video I bambini di Teheran, installato da ieri al MAO (Museo di Arte Orientale) di Torino, dove vi resterà fino all’11 febbraio; ma lo stesso lavoro è visibile, sempre sotto forma di installazione, solo per oggi al Mudec (Museo della culture) in occasione della Giornata della Memoria.

La Sabahi, storica e giornalista, ha raccolto tra il 2008 e il 2010 le testimonianze di quattro di questi bambini, ormai molto anziani (alcuni di loro nel frattempo sono deceduti) che raccontano la loro odissea. A Teheran, gli inglesi trasferirono 33mila soldati polacchi e 11mila rifugiati di cui 2mila ebrei, la metà minorenni destinati a un campo rifugiati allestito nell’agosto 1942 e finanziato dal governo polacco in esilio; cibo e medicine erano fornite dalla comunità ebraica iraniana, dalla Croce Rossa americana, da organizzazioni ebraiche e sioniste. A Teheran, i rifugiati polacchi trascorsero il periodo più lungo prima di raggiungere quella che ancora era chiamata Palestina.

Le vicende personali dei quattro protagonisti, consapevoli di essere scampati all’Olocausto e della fortuna di aver ritrovato le famiglie in Israele, sono unificate dalla voce fuori campo di un quattordicenne (non a caso, poiché è soprattutto agli studenti dei licei che questo progetto si rivolge) che legge una serie di didascalie inserite per ricostruire con esattezza le vicende storiche del periodo.

I bambini di Teheran – che ha una durata di circa 30 minuti ed è contrappuntato dalla musica di Ludovico Einaudi – è un video stilisticamente semplice che possiede la forza del documento testimoniale, prezioso per far luce su una pagina meno nota e per raccontare – in una giornata in cui si piangono milioni di vittime – una storia con un lieto fine.

A integrare la proiezione del MAO vi sono due pannelli: uno verticale spiega la storia dei bambini rifugiati, mentre l’altro, orizzontale, è una cartina con il percorso da loro compiuto nell’arco di diversi anni.

Sempre sulla parete esterna, infine, le lettere in ebraico Yaldei Teheran (i bambini di Teheran) sono state realizzate in argilla dall’artista torinese-israeliano Gabriele Levy, anch’esso – come Farian Sabahi – di madre piemontese e di padre mediorientale (ebreo sefardita di Alessandria d’Egitto).