Lunghe attese, code per strada, al freddo, sotto la pioggia anche. Pezzi di marciapiede trasformati in parcheggi improvvisati, le auto si infilano dove riescono. Dentro, accanto ai papà o, peggio, ai nonni, bambini piccolissimi, febbricitanti. Le mamme fuori in piedi a fare la coda. La situazione degli hotspot pediatrici a Torino è al limite. Ma, ci dicono, altrove è anche peggio. 

La colonna umana davanti a noi è esausta, preoccupata e arrabbiata per una gestione bollata da molti come totalmente inadeguata. Chi arriva per ultimo semplicemente si mette in fila, e aspetta. Nessuna indicazione, nessuna segnaletica. Ma qui ci sono bambini, molti con sintomi. 

Seduta sul marciapiede una donna, araba, ci guarda, con gli occhi un po’ persi. Avvolto in una coperta c’è il suo bimbo di pochi mesi, ci dice che ha la febbre. Poco più in là, in un altro angolo di marciapiede, un’altra donna sta allattando la sua piccola.

“Ho lasciato mio figlio lì in macchina col nonno, sono qui ormai da tre ore” ci racconta una signora. Un papà è tornato per la seconda volta, perché qualche giorno prima diluviava e si sono bagnati tutti: il figlio aveva già tosse e raffreddore. Anche un’altra mamma è al secondo tentativo, nella stessa giornata: arriva da un altro hotspot scolastico dove l’attesa era infinita. Ma non cambia molto. “La prossima volta vado a pagamento – urla furibonda – 50-100 euro e via”. 

Avrebbero tutti potuto scegliere la corsia preferenziale del privato. Il dissanguamento ormai decennale del sistema sanitario pubblico, tra privatizzazioni scellerate, aziendalizzazioni da manuale e austerity a go go, in fondo, è stato operato chirurgicamente per spingerci tutti lì. Ma essere qui, oggi, è anche una scelta politica, e sociale. 

Il tendone dei tamponi chiude alle 15. Un’ora prima comunicano che passano solo i primi dieci, gli altri se ne possono anche tornare a casa. Piccola rivolta: mamme e papà si impuntano. Molti hanno dovuto chiedere permessi al lavoro o prendere ferie. Va in scena uno scaricabarile di responsabilità, che sembrano ignote. Si va avanti così mezzora, poi finalmente la rassicurazione: “Prendiamo tutti fino alle 15, hanno sbagliato a dirvelo”. 

Errore di comunicazione? Forse. Anche il caos code dovrebbe risolversi. Forse. Il Commissario dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino, Giovanni La Valle, ci assicura che sono stati presi provvedimenti urgenti. 

Presso l’hotspot pediatrico dell’Ospedale Regina Margherita dovrebbe essere raddoppiata la procedura di accettazione, riducendo dunque i tempi. E già da oggi dovrebbe essere allestita un’area al chiuso per le famiglie, “dove le persone potranno stare opportunamente distanziate”. L’operazione “famiglie al caldo” – La Valle la chiama così – dovrebbe migliorare nettamente la situazione. “Noi siamo solo di supporto all’Asl, sono loro che gestiscono tutto”.

Già, l’Asl, tasto dolente. Alcuni insegnanti e genitori ci raccontano che l’Asl talvolta non comunica alla scuola che i bambini sono positivi. Una famiglia ad esempio ha saputo della positività del proprio bambino dal pediatra, ma l’Asl dopo sei giorni non l’ha ancora avvisata ufficialmente, né ha allertato la scuola. I compagni di classe non sanno nulla. Se l’Asl non avvisa, la classe non può essere messa in quarantena. 

Alcune scuole chiudono per un solo caso Covid accertato. Altre non verranno mai contattate. Altrove, qualcuno è rientrato in classe dopo la quarantena ma poi è stato chiamato per un secondo tampone. Ci sono dirigenti scolastici che lasciano “informalmente” libere le famiglie di decidere se mandare i figli in classe o no. Ci sono pediatri che impongono l’isolamento fino alla chiamata dell’Asl, che però a volte non arriva proprio. E ce ne sono altri, al contrario, che dicono che i bambini possono fare la vita di sempre. In molti casi i contatti di riferimento dell’Azienda sanitaria sono irreperibili. Il sistema Piemonte arranca. 

L’Unità di crisi regionale e il Dirmei, Dipartimento interaziendale Emergenza-Malattie infettive, stanno lavorando proprio in questi giorni alla ridefinizione delle regole sui tamponi. Obiettivo: aumentare la produttività dei laboratori ed evitare i test non indispensabili. Sul fronte del contact tracing, l’Asl di Torino vedrà un rafforzamento con 61 unità aggiuntive al Sisp e 40 al call center. Ma per i sindacati l’appello è uno solo: “Non lasciate sole le scuole”.