«Ho lavorato come Turca Meccanica per Amazon»
Forza Lavoro Reportage. 15 dollari per 40 ore su Amazon Mechanical Turk, il mercato di microlavori digitali creato da Jeff Bezos nel 2005. Sulla piattaforma operano 500 mila «Turkers» negli Usa e in India. «Ecco come ho insegnato agli algoritmi a diventare intelligenti ». «Organizzare le lotte, creare corto-circuiti nei sistemi algoritmici, immaginare e praticare una liberazione dal lavoro attraverso gli automi, istituire un reddito incondizionato e universale»
Forza Lavoro Reportage. 15 dollari per 40 ore su Amazon Mechanical Turk, il mercato di microlavori digitali creato da Jeff Bezos nel 2005. Sulla piattaforma operano 500 mila «Turkers» negli Usa e in India. «Ecco come ho insegnato agli algoritmi a diventare intelligenti ». «Organizzare le lotte, creare corto-circuiti nei sistemi algoritmici, immaginare e praticare una liberazione dal lavoro attraverso gli automi, istituire un reddito incondizionato e universale»
Ho lavorato come turca meccanica per Amazon. Con il mio computer ho messo a disposizione la mia umanità per Amazon Mechanical Turk, il servizio di micro-lavori digitali creato da Jeff Bezos nel 2005. Per circa 40 ore mi sono occupata di riconoscimento di immagini, lettura di scontrini e trascrizioni di registrazioni audio varie guadagnando quasi 15 dollari. Non ho solo registrato e analizzato ricevute di un’enoteca del Wisconsin. Ho anche insegnato ai robot a essere più umani valutandone, positivamente o negativamente, dizione, pronuncia e intonazione nella lettura di brevi testi: quello che mi era richiesto era infatti di valutarne l’artificialità. Ad alcuni poi ho insegnato a salutare, aprire bottiglie e annuire registrando video.
Ho lavorato insieme a migliaia di altri lavoratori digitali. Nel mondo, e in particolare negli Stati Uniti e in India, almeno 500 mila lavoratori digitali sono impegnati nella trasmissione di gestualità, nella decodifica del gesto e della parola, nell’umanizzazione dell’automa insomma. Come loro, come me, nel mondo esistono moltissimi altri mercati digitali dove milioni di turchi meccanici allenano gli algoritmi a diventare intelligenti.
Esistono mansioni che, per ora, solo gli umani riescono a fare. E questo l’ha ben capito Bezos che con Amazon Mechanical Turk si offre come intermediario tra privati, a volte tra istituzioni e i gruppi di ricerca di università statunitensi. Su questa piattaforma digitale i datori di lavoro e una moltitudine di potenziali lavoratori su scala globale si incontrano.
Come funziona questo marketplace digitale? Per farsi una prima idea di cosa offra questa piattaforma basta leggere le pagine di presentazione sul sito, o la guida fornita agli utenti: una forza lavoro globale (e, considerato il fuso orario, disponibile 24/7), pagata quasi niente e potenzialmente illimitata.
È l’intelligenza umana – la capacità di riconoscere immagini, suoni, esprimere opinioni, formulare giudizi, manifestare preferenze – a essere messa a lavoro nel Turco meccanico. Solo che, in questo caso, non si tratta di una partita a scacchi per divertire Maria Teresa d’Austria come lo era per l’automa di von Kempelen, all’origine del «Turco meccanico» a cui si è ispirato Bezos.
Qui non si gioca, si lavora. E si lavora potenzialmente ovunque e sempre, basta poter connettersi a internet. Perché quindi pagare un impiegato per compilare il registro delle spese della propria azienda quando questo lavoro può essere fatto da centinaia di lavoratori a 1 centesimo di dollaro per ricevuta?
E cosa ci guadagna Amazon? All’incirca dal 20 al 40% della retribuzione prevista per ogni HIT, acronimo che sta per Human Intelligence Tasks, ma che ricorda immediatamente il verbo «to hit», colpire, fare centro – andare a segno. Il lavoro è parcellizzato: ogni singolo utente catalogherà solo alcuni pantaloni dell’inventario (jeans, bermuda o leggins?), vedrà solo parte delle ricevute che devono essere inventariate, leggerà solamente alcune delle targhe che devono essere riconosciute. Mentre lavoravo anonimi colleghi dietro a tastiere da chissà dove hanno contribuito a confezionare il lavoro, non prima certo di aver ottenuto la «qualifica» necessaria per svolgerlo – un test iniziale (di umanità?) che permette l’accesso all’HIT.
Avete presente i captcha, le domande e risposte per determinare se l’utente sia un umano e non un computer? Questo è un tipo di mansioni che viene richiesta ai lavoratori del Turco di Amazon. O meglio, che viene «offerta» loro. Sì, perché per accedere alle tasks è necessario cliccare su «Accept&work», nella completa delegazione di responsabilità.
Non si lavora per Amazon, si lavora su Amazon per terzi che, nel caso non fossero soddisfatti, possono decidere di non accettare il lavoro eseguito e di conseguenza di non retribuire il lavoratore digitale. Dietro al quality management di questa forza lavoro elastica, si nasconde la discrezionalità del datore di lavoro che, volendo, può decidere di rifiutare il lavoro svolto dal lavoratore digitale senza, peraltro, essere obbligato a fornire giustificazioni della sua scelta. Seguono ranking di valutazione dei lavoratori, percentuali di completamento delle mansioni e statistiche sulla produttività: come avviene per i servizi di delivery (i fattorini, o riders, di Deliveroo o Foodora, per esempio) il lavoratore ha accesso a questi dati e, nel processo di ludificazione del lavoro di queste nuove figure auto-imprenditoriali, fondamentale è mantenere alto lo score, il punteggio.
Nel Turco meccanico c’è di più. Infinite inchieste sul consumo di bevande energetiche, questionari su come si passa il proprio tempo libero, se si preferisce tale campeggio in Australia o se si crede sia meglio la stanza del bed and breakfast della cittadina vicina, se si pensa che un determinato prodotto sia sufficientemente pubblicizzato. I dati sono la nuova grande ricchezza, il vero prodotto, il valore da estrarre, il nuovo oro da conquistare. I gruppi di ricerca scientifici sono un altro capitolo di questa storia. Per ottenere velocemente dati, si affidano ad Amazon e così contribuiscono a un nuovo tipo di sfruttamento.
Chi sono i turchi, allora? Le statistiche parlano chiaro: la maggior parte sono cittadini indiani e statunitensi. Questi ultimi “qualificati”, grazie alla loro localizzazione tramite l’indirizzo IP, ad accedere alle HITs più remunerative. Solo loro possono vedere trasferiti i loro guadagni nei propri conti bancari. Sì, proprio così. Indovinate come paga Amazon Mechanical Turk se non appartenete a questi due gruppi, o meglio se non vi connettete da queste due aree? Oltre al danno, la beffa: non si ricevono soldi «veri», da spendere per pagare l’affitto o nella libreria di quartiere. Si viene pagati in buoni di acquisto amazon.com.
Non mancano però percorsi di soggettivazione e possibilità di organizzazione di rivendicazioni, sia per quanto riguarda Amazon Mechanical Turk sia, in generale, la gig economy, l’economia dei «lavoretti» che altro non sono che nuove – o riattivate e tradotte – forme del lavoro e della rendita. La rete, oltre a permettere la strutturazione di questo tipo di sfruttamento può essere uno strumento per organizzare resistenze e contrattacchi. I forum, le pagine di Facebook, i gruppi Whatsapp e di Telegram, benché estraggano (chi più, chi meno) valore dalla nostra attività online possono essere utilizzati per organizzarsi globalmente, per connettere i lavoratori digitali parcellizzati dallo stesso funzionamento della piattaforma.
Il nuovo turco meccanico ha uno scopo, peraltro evidente al maestro di scacchi che vi si nasconde, complice così della propria uccisione: lo scacchista deve essere reso inutile, l’automa invece autonomo attraverso l’acquisizione delle competenze necessarie per lavorare come un vero umano. Amazon, di sicuro, ci risparmierà in buoni d’acquisto. A noi, quello che resta da fare, è organizzare nuove forme di lotta, pensare a cortocircuiti del sistema, magari immaginando, sì, una liberazione dal lavoro attraverso gli automi, ma anche un reddito incondizionato e universale.
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