Un anno fa, Roberto Gualtieri vinceva le elezioni romane e saliva a Palazzo Senatorio, in Campidoglio. Il primo anniversario del sindaco di Roma cade nei giorni in cui Giorgia Meloni si prepara a ricevere l’incarico di formare il governo. Questa è l’immagine di un curioso rovesciamento: il ballottaggio del 18 ottobre 2021 aveva rappresentato l’incapacità delle destre, e soprattutto di Fratelli d’Italia, di trovare un candidato competitivo e all’altezza della sfida di amministrare la capitale. Ciò aveva proiettato dubbi e ombre sulle ambizioni di Meloni di arrivare al governo del paese. Gualtieri aveva corso senza l’appoggio del M5S e contro le ambizioni terziste di Carlo Calenda, che pure a Roma (complice il sistema a doppio turno) prese moltissimi voti e iniziò a coltivare il suo progetto nazionale.

ALL’EPOCA, lo scollamento del «campo largo» sulla piazza romana pareva più una vistosa anomalia locale che una profezia nazionale, tanto più che poteva contare sulla sponda della Regione Lazio del presidente Nicola Zingaretti, dove l’esperimento di maggioranza con i 5 Stelle pareva andare a gonfie vele. Ma oggi l’ex ministro dell’economia si ritrova ad agire in uno scenario totalmente diverso. Zingaretti, transitato in Parlamento, è dimissionario.

Il campo largo sul piano nazionale è impraticabile e su quello laziale è tutto da ricostruire. Nei prossimi mesi, peraltro, a Palazzo Chigi non ci sarà più Mario Draghi, sul quale Gualtieri puntava per dare corpo ai dossier che costituiscono l’ossatura del suo piano quinquennale per Roma: i fondi del Pnrr, il Giubileo del 2025, la corsa per Expo 2030. Di più, un pezzo importante della catena di eventi che ha condotto alla caduta del governo Draghi riguarda proprio l’amministrazione di Roma Capitale: l’articolo infilato nel Decreto Aiuti che conferisce poteri speciali al sindaco per la gestione dei rifiuti e la costruzione di un mega-inceneritore ha rappresentato il casus belli che ha mandato in frantumi prima la maggioranza di governo e poi l’asse tra M5S e Pd.

AL NETTO del modo in cui ha pesato sugli equilibri nazionali, quella dei rifiuti resta la questione più visibile, la contraddizione più cocente e la vicenda più emblematica. Il Piano di gestione redatto dal sindaco (e commissario) Gualtieri ruota tutto attorno alla realizzazione di un impianto che bruci ogni anno 600 mila tonnellate di rifiuti non trattati ogni anno, senza alcun nuovo impianto dell’economia circolare. Da subito, oltre a comitati e all’ala sinistra della sua maggioranza, questo progetto ha trovato la ferma opposizione del maggior sindacato e dell’associazione ambientalista più diffusa sul territorio. «Abbiamo presentato osservazioni che analizzano le evidenti incongruenze del Piano sui rifiuti e che propongono un’alternativa reale a Piano dell’amministrazione», spiegano Natale Di Cola, segretario della Cgil di Roma e del Lazio e Roberto Scacchi, presidente di Legambiente Lazio.

MENTRE Gualtieri festeggiava la vittoria, del resto, bastava osservare i risultati elettorali lista per lista per capire che la riconquista del Campidoglio da parte del centrosinistra avveniva con un’anomalia: il partito di cui il sindaco è espressione usciva già dalle urne amministrative raccogliendo poco più del 16% dei consensi in città. Per compensare la debolezza del partito, il sindaco avrebbe dovuto aprire la sua giunta e dare un segnale generale di apertura alla cittadinanza e invogliare la partecipazione dei corpi sociali che tra mille difficoltà continuano ad animare la capitale. E invece il fatto stesso di pensare che basti realizzare un mega-inceneritore per risolvere il problema tradisce ancora una volta il ricorso a scorciatoie tecnocratiche e centraliste. La grande fornace in cui dovrebbero convergere le tonnellate di rifiuti romani è l’allegoria perfetta dell’istinto di centralizzazione delle prassi politiche che cozza con il principio di realtà e con l’esigenza di allargare la base di consenso.

SE VOLESSIMO dare una faccia, personalizzare la questione per spiegare questa tendenza, dovremmo scegliere la figura di Albino Ruberti, l’uomo-macchina per eccellenza transitato dalla Regione al Comune cui ai piani alti del Campidoglio veniva riconosciuta la capacità rara di questi tempi di essere multitasking, di riuscire a mettere le mani su moltissimi dossier. Il fatto che il capo di gabinetto abbia dovuto dimettersi, dopo il famigerato audio in cui minaccia un collega di partito rappresenta un ulteriore motivo per spingere Gualtieri a cambiare passo. In quanto assessore alla partecipazione, al decentramento e al personale, la persona giusta per capire se e come questo stia avvenendo è Andrea Catarci. Secondo il quale in questi mesi la giunta è riuscita a mettere in piedi «la macchina che progetta, programma e organizza, soprattutto per gestire i miliardi che arriveranno coi fondi del Pnrr». Inoltre, dice Catarci a proposito di partecipazione, «l’amministrazione comunale si è messa a ragionare con associazioni e corpi intermedi sul regolamento dei beni comuni, su quello dei beni confiscati alle mafie e sulla gestione del patrimonio».

SAREBBE un’inversione di tendenza rispetto a quello che avvenne nei cinque anni di giunta Raggi, durante i quali il voto popolare che spinse con forza il Movimento 5 Stelle fino alla stanza dei bottoni non venne trasformato in spinta dal basso verso il cambiamento.

LA VERTENZA che riguarda la sopravvivenza di decine di spazi sociali di proprietà del comune rischiano di finire a bando e stanno ricevendo assurde richieste di pagamento a canoni di mercato è da questo punto di vista centrale. Gualtieri è atteso al varco anche sul Decreto Lupi. C’è una mozione approvata da tutta la maggioranza di centrosinistra che chiede che il comune deroghi all’assurda legge approvata durante il governo Renzi che ripropone ai giorni nostri i codici contro l’urbanesimo di epoca fascista: da anni i poveri che vivono in case occupate dai movimenti di lotta per l’abitare (circa diecimila) o in alloggi di fortuna non possono chiedere la residenza e dunque non hanno modo di accedere ai servizi primari.

IL TEMA di una sinistra all’opposizione del governo nazionale e che sappia raccogliere, interpretare e organizzare la voce degli ultimi investe l’agenda politica più generale: che fare in un paese governato dalla destra? «In questo momento politico bisogna l’aprire un patto con la città sul diritto di cittadinanza – sostiene Amedeo Ciaccheri, presidente del municipio VIII – Di fronte a politiche che saranno di restrizione dei diritti civili e sociali dobbiamo dichiarare e praticare ’Roma città aperta’. Come le città santuario che accolgono i migranti negli Stati uniti». Secondo i dati Caritas, un quarto dei romani vive in condizioni di disagio economico. Il direttore della Caritas romana Giustino Trincia ha spiegato che Roma è «in bilico» Sospesa «tra la tentazione di ripiegarsi sulle profonde ferite inferte dalla pandemia» e «la volontà di cogliere le opportunità offerte da Pnrr, Giubileo ed Expo 2030». Ed è su questo crinale stretto, concretissimo, e non privo di contraddizioni, che si pone la sfida della giunta Gualtieri.