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Greta, Trump e l’emergenza climatica

Greta, Trump e l’emergenza climaticaL'intervento di Greta Thunberg al Forum economico mondiale di Davos – Ap

Davos La destra autoritaria è oggi nel mondo l’avanguardia politica del negazionismo. La più indifferente ai disastri che il riscaldamento globale provoca già oggi tra i poveri del mondo

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 24 gennaio 2020

A Davos si sono confrontate davanti ai potenti del mondo due idee del futuro radicalmente alternative. Quella di Greta e quella di Trump. Mentre il presidente americano, a partire dai dati di crescita dell’economia Usa, ha diffuso ottimismo e messo in guardia contro i «profeti di sventura», Greta ha ribadito come il mondo si trovi vicino come non mai alla possibile catastrofe, e come sia tragico che alle parole «ambientaliste» ormai entrate nel linguaggio di quasi tutti i potenti, non seguano scelte conseguenti.

Di fronte all’emergenza climatica, ci ha detto Greta, occorrono scelte politiche di emergenza.

L’emergenza però nella storia umana, si è spesso accoppiata con soluzioni autoritarie.

Già l’emergenza terrorismo ci ha mostrato come sia possibile, quando la paura si diffonde, convincere il popolo della necessità di ridurre gli spazi di democrazia e di libertà. Potrà succedere anche quando il disastro climatico produrrà i suoi effetti più drammatici. Fame, carestie, eventi atmosferici estremi che renderanno invivibili vaste aree del pianeta.

La destra autoritaria è oggi nel mondo l’avanguardia politica del negazionismo. La più indifferente ai disastri che il riscaldamento climatico provoca già oggi tra i poveri del mondo, quelli la cui vita e i cui consumi provocano meno emissioni dannose, e che sono i primi a pagare gli effetti degli sconvolgimenti climatici provocati dalle scelte e dai consumi dei ricchi.

In America Latina, in Brasile quelli che provano a difenderli e a difendersi li ammazzano. Oltre 304 attivisti per la preservazione dell’ambiente, per la difesa della terra, per i diritti degli indigeni, sono stati uccisi nel 2019. La maggior parte di loro sono sud americani. Bolsonaro sembra risolvere il problema della povertà nelle favelas negando il diritto alla vita degli abitanti delle stesse. E mostrando la più totale indifferenza rispetto alla sorte degli indigeni dell’Amazzonia. Trump, col suo prima gli americani, esplicitamente subordina al mantenimento dello stile di vita dell’ americano medio la vita dei poveri del pianeta e della sua stessa nazione.

Il negazionismo autoritario, in ogni parte del mondo, sembra preparare per quando l’emergenza diverrà più acuta una strategia tragica, in cui l’autoritarismo si sposerà al malthusianesimo e al darwinismo sociale.

Se il mondo non sarà più vivibile per tutti salviamo chi se lo può permettere, e che in nome di questa promessa di vita rispetto ad un mondo sempre più ostile alla vita, rinuncerà alla libertà e alla democrazia. I muri di oggi anticipano le muraglie ancora più solide ed impenetrabili del domani che ci attende se prevarrà il produttivismo e l’estrattivismo . Si fa poco alla volta reale il mondo distopico descritto da tanti film e serie Tv fantascientifiche, in cui le cittadelle dei salvati, guidati da capi più o meno spietati, si proteggono con ogni mezzo da chi sta fuori.

Oggi soprattutto sul clima si gioca la scelta fra autoritarismo sovranista e democrazia. La democrazia è l’unica che può evitare la tragedia. Una democrazia , certamente rinnovata e approfondita, radicata nei territori e nelle comunità locali. Che cali gli stessi processi del green deal europeo, le scelte che gli stessi governi saranno obbligati a fare se la pressione popolare aumenterà, in assemblee democratiche di territorio, le uniche che possono fondare davvero quella economia circolare- a zero emissioni, a zero scarti, a zero rifiuti e a zero consumo di suolo- che è l’unica risposta possibile alla catastrofe ambientale e all’ingiustizia climatica. L’alto, le scelte doverose dell’Onu, dell’Europa come dei singoli stati, produce effetti se si salda con le mobilitazioni dal basso, se amplia e non restringe la possibilità di autodeterminazione delle comunità locali.

È una sfida difficile, perché uno degli effetti della sviluppismo neo liberista è stato quello di inaridire la possibilità per le persone di immaginare un futuro diverso. La priorità assoluta del produrre e del consumare ha tolto spazio alla fantasia, ha appiattito sul presente la vita umana. Le previsioni degli scienziati sulla possibile distruzione della vita umana sulla terra sono, lo diceva Gunther Anders, difficilmente percepibili non perché subliminali, al disotto cioè della capacità di percepirli da parte dell’uomo, ma perché sovra-liminali, «troppo grandi per essere comprese dall’uomo: più grandi di quelle che possono essere percepite e ricordate».

Riaprire la mente delle donne e degli uomini del nostro tempo all’immaginazione e alla fantasia, metterli in grado di concepire l’inconcepibile, cogliere nel piccolo e nel presente i segni del futuro che ci attende, e delle alternative che siamo in grado di mettere in atto per renderlo buono ed aperto, invece che tetro ed ostile, è il compito difficile ma ineludibile che abbiamo davanti, e che può essere affrontato solo radicando nel locale le scelte globali per il cambiamento necessario.

* Direttore della Rivista “Luoghi Comuni”

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