Gramsci, i nuovi sentieri del suo pensiero
Scaffale L'ultimo libro di Guido Liguori, uscito per Bordeaux: un'attenta ermeneutica dei testi che «non lasci spazio ai voli pindarici, all’estrapolazione dei concetti, alle deduzioni non fondate»
Scaffale L'ultimo libro di Guido Liguori, uscito per Bordeaux: un'attenta ermeneutica dei testi che «non lasci spazio ai voli pindarici, all’estrapolazione dei concetti, alle deduzioni non fondate»
Percorrere il pensiero e l’opera di Antonio Gramsci significa incamminarsi lungo un sentiero la cui asperità è tale che raggiungere l’obiettivo dell’ampliamento della conoscenza e dell’approfondimento delle categorie del marxista sardo corrisponde a quello che sosteneva Seneca nel suo Hercules furens: «non esiste alcuna via semplice dalla terra alle stelle». È necessario, perciò, dotarsi, per affrontare un sentiero, anzi, più sentieri così complessi di un metodo (proprio nel senso etimologico del termine, ossia avere un’indicazione di direzione) appropriato, un metodo suggerito dallo stesso Gramsci quando, riferendosi a Marx ma in realtà parlando di se stesso, scriveva che «La ricerca del leitmotiv, del ritmo del pensiero in isviluppo, deve essere più importante delle singole affermazioni casuali e degli aforismi staccati».
A questo metodo fa esplicito riferimento Guido Liguori nella Premessa del suo ultimo lavoro (Nuovi sentieri gramsciani, Bordeaux, pp. 291, euro 20) nella quale si legge: «per capire Gramsci bisogna affidarsi in primo luogo a una attenta ermeneutica dei testi (di tutti i testi gramsciani) che non lasci spazio ai voli pindarici, all’estrapolazione dei concetti, alle deduzioni non fondate anche se spesso comode perché in accordo con lo spirito del tempo».
LA SOTTOLINEATURA relativa al metodo seguito nella realizzazione del lavoro già lascia intendere quale sia la natura dell’asse intorno al quale tutto ruota: l’assoluta fedeltà ai testi gramsciani che non ne consente sollecitazione alcuna la quale, a volte, agita per interessi estranei alla ricerca storica e scientifica, ha invece procurato volute confusioni fra la lettera e lo spirito dell’opera di Gramsci consentendo di utilizzarlo per dire tutto e il contrario di tutto (non è per nulla casuale il riferimento agli ultimi tentativi, peraltro piuttosto maldestri se non addirittura illeciti, com’è stato dimostrato, di un’appropriazione da parte della destra).
Nel libro di Liguori ogni momento occupa lo spazio che gli compete nella costruzione di un mosaico le cui tessere danno vita a un’immagine dalla quale emerge il pensiero del grande sardo.
UN PENSIERO CHE VA affrontato nell’ottica dell’aut-aut, ossia o con gli strumenti che consentono di fornirne un profilo autentico oppure con la sciatteria che riduce al livello di quei «rimasticatori di frasi» contro i quali il comunista sardo lanciava le sue frecciate polemiche.
Già nel 2006 l’autore aveva intrapreso la strada dei sentieri gramsciani con un libro, intitolato appunto Sentieri gramsciani, in cui convergevano le esperienze dei seminari sul suo lessico, organizzati dalla International Gramsci Society Italia e altre riflessioni intorno al pensatore sardo. I nuovi sentieri gramsciani sono il frutto di una riflessione di lungo periodo che, in nove capitoli, affronta l’evoluzione del pensiero gramsciano a partire dalla Rivoluzione d’Ottobre e, attraverso l’esperienza dell’Ordine Nuovo, della fondazione del Pcd’I, della «questione meridionale», dei problemi del partito come moderno Principe (nel capitolo significativamente intitolato Machiavelli, Gramsci e l’ideazione di un nuovo ’Manifesto’ nel quale il Segretario fiorentino è descritto come un «doppio» del rivoluzionario sardo: «Pare (…) che Gramsci si proietti o si rispecchi in Machiavelli»), propone il profilo di un dirigente politico che ha saputo tenere insieme teoria e prassi fornendo un esempio non facilmente imitabile, anzi del tutto inimitabile, di realismo politico. E si capisce, dalla ricorrenza non solo nominale, ma soprattutto concettuale all’interno del libro, di quanto la presenza di Lenin abbia fornito un contributo decisivo all’elaborazione della linea teorico-politica gramsciana. Il leader bolscevico è il teorico della politica che più ricorre nel lavoro di Liguori a voler sottolineare come sia origine e punto di riferimento continuo dell’elaborazione gramsciana.
LENIN È POSTO, nel capitolo quinto del lavoro di Liguori, come protagonista di un incontro tenutosi a Mosca il 25 ottobre del 1922 con Gramsci. Questo capitolo ha una sua originalità che va messa in evidenza. Infatti, dopo un riferimento a questo incontro in un libro del nipote di Gramsci, Antonio jr., che recuperava una lettera del 1972 scritta al padre Giuliano da Camilla Ravera in cui se ne parlava, il fatto non è mai stato preso in considerazione. Liguori lo contestualizza collocandolo nel momento in cui Gramsci arriva a Mosca nel 1922 e si trova ad «anguilleggiare», come scrisse in una lettera a Scoccimarro e Togliatti, fra l’incudine dell’Internazionale e il martello di Bordiga. Sul silenzio relativo a quest’incontro l’autore avanza diverse ipotesi fra le quali quella secondo cui fu lo stesso Gramsci a richiedere il massimo riserbo proprio perché non voleva che l’incontro fosse interpretato come «un tentativo … di «fare le scarpe» al massimo dirigente del Pcd’I», ossia a Bordiga.
Il libro risponde a quanto, per tornare a Gramsci citato all’inizio, lì scriveva il comunista sardo, ossia che per affrontare un pensiero complesso «occorre fare un lavoro minuzioso e condotto col massimo scrupolo di esattezza e di onestà scientifica». Complesso è il pensiero gramsciano, ardui i sentieri per percorrerlo, ma Liguori fornisce una mappa, assolutamente necessaria, per condurre l’impresa senza correre il rischio di cadere nei dirupi che possono incontrarsi mentre si esplorano le strade aspre dell’opera gramsciana.
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