Stavolta i socialisti vogliono fare le cose per bene. Al contrario dell’estate scorsa, i negoziati per portare a casa l’investitura di Pedro Sánchez come futuro presidente del primo governo di coalizione della storia recente della Spagna si fanno in maniera discreta. Questa volta il Psoe vuole davvero arrivare fino in fondo e sembra intenzionato ad appoggiarsi ai partiti di sinistra, senza ambiguità. Superato il primo scoglio dell’accordo con Unidas Podemos – in meno di 24 ore dopo le elezioni i socialisti si sono ingoiati quasi tutte le obiezioni su cui avevano costruito la propria narrazione politica dei mesi precedenti – ora tutti gli sforzi sono concentrati sugli indipendentisti catalani di Esquerra republicana (Erc). Il tempo stringe, il Congresso si costituirà la settimana prossima e i socialisti vogliono un governo entro Natale.

Nel frattempo, sia socialisti, sia Unidas Podemos, sia Izquierda Unida, sia Catalunya en comú (gli alleati catalani dei viola, guidati da Ada Colau) hanno ottenuto un massiccio appoggio da parte delle loro basi per l’accordo firmato dai due leader. Anche Erc ha consultato le sue basi che hanno dato l’ok: avanti sulla linea di permettere con un’astensione l’investitura di Sánchez, ma solo in cambio di concessioni rispetto al conflitto catalano. A parte alcune ovvie schermaglie nelle dichiarazioni dei giorni scorsi, le cose sono ferme a questo punto.

Ieri pomeriggio si sono formalmente incontrate al Congresso le due delegazioni: la socialista, guidata dalla portavoce parlamentare Adriana Lastra (il lato “sinistro” del partito, che gode di buona reputazione sia con i viola che con Esquerra), ed Erc, guidata dal portavoce Gabriel Rufián.

A DIFFERENZA DEI MESI SCORSI, i socialisti sembrano molto decisi a convincere i repubblicani. La benzina che hanno gettato negli ultimi mesi e soprattutto in campagna elettorale non aiuta: ma la (buona) politica è l’arte di sapersi adattare alle circostanze, e Sánchez e i suoi hanno tirato a lucido il sorriso più convincente e i toni più conciliatori possibili, facendo equilibrismi di parole per non cedere su nulla (in particolare, sull’autodeterminazione che esigono i catalani, né su un negoziato “bilaterale” fra i due governi di Madrid e Barcellona) ma senza chiudere del tutto la porta a niente. Il fatto è che nessuna delle due parti può permettersi di perdere né la faccia, né la partita. Esquerra ha deciso di interpretare il ruolo (assai più complicato) del partito pragmatico, rispetto ai suoi due “alleati” indipendentisti, la Cup (granitica sul No a Sánchez che accusano, a ragione, di aver portato avanti politiche identiche a quelle del Pp) e JuntsxCat, che non sa come schiodarsi dalla posizione massimalista a cui l’hanno relegata presidente ed ex presidente catalano, Torra e Puigdemont.

Una volta ottenuta l’astensione di Erc, Sánchez potrebbe già affrontare il voto in parlamento: l’astensione di Erc e probabilmente dei baschi di Eh Bildu se l’accordo con Erc va in porto, assieme ai sì di Unidas Podemos e altri piccoli partiti saranno sufficienti per depotenziare i No delle destre.

SULLO SFONDO DEL NEGOZIATO è anche il futuro governo catalano: il presidente Torra ha i giorni contati, primo perché presto verrà interdetto dai pubblici uffici per non aver fatto applicare una norma richiestagli dalla giunta elettorale ad aprile scorso, e secondo per le tensioni fra il suo partito, Juntxcat, e i repubblicani.

Se l’accordo a Madrid va nella direzione giusta, si apre finalmente la possibilità di rompere il blocco indipendentista e dopo le inevitabili elezioni anticipate catalane si potrebbe prospettare un accordo Erc-Catalunya en comú con l’appoggio dei socialisti. Un tripartito di sinistra che riaprirebbe il confronto con Madrid su basi differenti rispetto a quanto accaduto finora. Ma prima c’è da sbloccare un’investitura.