Porteranno le trattative tra Pd e Cinque Stelle a un «governo politico»? Se i punti di convergenza ci sono, e sono importanti, non si possono d’altra parte ignorare le distanze, non solo tra le due formazioni politiche, ma anche tra gli elettorati.

Inutile nascondersi tutti i rischi che un governo del genere corre: nel caso in cui durasse la legislatura, per le misure dure, impopolari, che dovrà prendere, nel caso gravissimo in cui s’interrompesse, per le colpe che verrebbero imputate a chi ha procrastinato il voto, compresa quella di un disastro compiuto da altri.

Nonostante ciò, la situazione in cui versa l’Italia è tale, che non ci si può non augurare al più presto un governo giallorosso. È giusto vederlo come una diga, uno sbarramento, una difesa, e insieme anche come l’inizio di un periodo di intervallo, di sospensione. Il punto decisivo è l’emergenza democratica. Con questo non si deve intendere, però, solo la tenuta delle istituzioni e il rispetto della costituzione.

C’è un’emergenza non meno importante ed è la confusione di molti, anzi moltissimi cittadini, che sono disorientati, sconcertati, intimoriti. Chi si informa, legge i giornali, accede ai media, segue le complicate vicissitudini quotidiane della politica, è ormai, in questo paese, una ristretta minoranza. Gli altri sono preda – mai come in questo momento – della feroce, spregiudicata propaganda di sovranisti e populisti. Non hanno i mezzi per interpretare, gli strumenti per distinguere. Molti forse – bisogna dirlo a chiare lettere – non riescono davvero neppure a comprendere la drammaticità degli eventi, i pericoli che il paese corre e che loro stessi, come cittadini, corrono. Questo è peraltro l’effetto di quelle politiche perseguite ininterrottamente negli ultimi anni e decenni, che hanno calpestato l’istruzione, dimenticato, e perfino demonizzato, la cultura, cancellato la ricerca.

Ecco allora perché l’allarme. Alla guida di un’ultradestra, salita potentemente nei voti, prima ancora che nei sondaggi, c’è l’ex ministro dell’Interno che non fa mistero di voler virare verso uno Stato di polizia. All’insegna di un sovranismo iperbolico, ormai al di là persino del modello di Orbán, ha agitato spauracchi di ogni genere, gridando all’invasione dei «clandestini», puntando l’indice contro una fantomatica «sostituzione etnica».

Per questo si è servito di una temibile orchestrazione politico-mediatica che ha sortito effetti devastanti. Non è possibile vedere ancora in tutta la sua profondità quale sia la ferita, forse irreversibile, inferta alla democrazia.

Quel che è certo è che molti l’hanno seguito e lo seguono senza rendersi conto di essere le prime vittime della politica della paura. Non solo perché potrebbero essere loro stessi bersaglio di quelle misure di sicurezza, ma anche perché il governo giallo-verde si è concluso senza aver fatto il necessario contro la precarietà, l’incertezza economica, la disoccupazione, il Sud.

Non è accettabile che al primo posto di una scaletta di governo non figurino oggi il lavoro, la cultura, le misure per i giovani, le politiche per le donne, le questioni ambientali. La speranza è che il Movimento Cinque Stelle ritrovi quella vena di sinistra che, soprattutto all’inizio, lo aveva animato. Quanto al Pd, purtroppo lacerato, e incerto, troppo alle prese con quell’anima liberale che abolisce quella «sociale», l’augurio è che sia finalmente all’altezza della gravità del momento. Il che significherebbe coagulare l’opposizione civile, che pure in questo paese esiste – e le piazze l’hanno provato. Per questo servono messaggi chiari in grado di scuotere, forse anche di allarmare, per far capire che siamo entrati in una fase critica che non ha precedenti.

Questa responsabilità dovrebbero oggi avvertirla tutti coloro che vedono il pericolo di uno Stato di polizia che incombe, di un sovranismo esasperato che non tollera la democrazia.