La strategia «diritti umani» del presidente al-Sisi produce frutti. Non che in passato abbia subito ripercussioni, ma potrebbe non essere una coincidenza il via libera della Casa bianca alla nuova vendita di armi al regime.

Nelle ultime settimane l’Egitto ha optato per il rilascio (in attesa del proseguimento del processo) di Patrick Zaki e di quello (in cambio della cittadinanza egiziana) di Ramy Shaath. Nel primo caso, in Italia si parlò di un intervento dietro le quinte dell’amministrazione Biden che avrebbe inserito lo studente dell’Università di Bologna in una lista di attivisti e difensori dei diritti umani di cui chiedeva la libertà.

Ieri potrebbe essere giunto il «premio»: Washington ha approvato la vendita di 2,5 miliardi di dollari in armi al Cairo. Sarebbero inclusi 12 aerei Super Hercules C-130 e relativo equipaggio (2,2 miliardi) e sistemi di difesa aerea (355 milioni).

Al Congresso è giunta la notifica del Dipartimento di Stato. Poche ore prima un gruppo di parlamentari democratici aveva fatto appello all’amministrazione perché non concedesse all’Egitto il pacchetto di assistenza militare da 130 milioni di dollari pendente dal 2021, proprio alla luce della repressione interna. Si tratta di una parte dei 1,3 miliardi che ogni anno Washington gira al Cairo.

Il Dipartimento di Stato risponde: «La vendita proposta sosterrà la politica estera e la sicurezza nazionale degli Stati uniti». Al momento la vendita non è conclusa: la notifica al Congresso non significa che ci sia stata già una firma. Resta la domanda: perché trattenere 130 milioni quando si pensa di vendere armi per 2,5 miliardi?