Dal parlamento lo scontro sulle unioni civili si prepara a trasferirsi nelle piazze. Gli organizzatori del Family Day hanno annunciato ieri di aver spostato la manifestazione in programma per il 30 gennaio a Roma da piazza San Giovanni al Circo Massimo viste le tante adesioni ricevute. «E’ previsto un afflusso molto superiore rispetto alla manifestazione dello scorso 20 giugno», ha spiegato il neurochirurgo Massimo Gandolfini, presidente del comitato «Difendiamo i nostri figli».

La mobilitazione in queste ore è massima. Nonostante dal Vaticano non sarebbe stato apprezzato il troppo attivismo mostrato da alcune componenti della Chiesa nel contrastare il ddl Cirinnà, per la riuscita dell’iniziativa si stanno mobilitando le diocesi di tutta Italia, con le Conferenze episcopali di Piemonte e Valle d’Aosta che hanno già garantito la presenza in piazza. Sono previsti interventi di giuristi insieme alle testimonianze di famiglie «tradizionali» e, come già accaduto a giugno, la partecipazione di tanti bambini. A dimostrazione – secondo gli organizzatori che si aspettano un milione di persone – che solo una famiglia composta da due persone di sesso diverso abbia diritto ad avere dei figli.

In queste ore si mobilita anche il fronte opposto, le tante associazioni lgbt che pur considerando il ddl Cirinnà il minimo sindacale per quanto riguarda i diritti riconosciuti alle persone omosessuali, non sono comunque disposte a metterlo in discussione. E chiedono anzi a parlamento e governo di non fare nessun passo indietro, specie per quanto riguarda uno dei punti più caldi della legge come la possibilità di adottare i figlio biologico del partner.

Intorno all’hastag #svegliatitalia, Arcigay, Arcilesbica, Agedo, Mit e Famiglie Arcobaleno manifesteranno quindi sabato prossimo in 82 città italiane (l’appuntamento per Roma è al Pantheon), ma anche a Londra, Berlino e Boston.

Mentre le piazze si scaldano contro oppure in difesa di qualcosa che nel resto d’Europa è ormai acquisito da tempo, in parlamento il Pd cerca disperatamente una mediazione in grado di salvare sia il ddl che l’unità – sempre più a rischio – del partito. Dopo l’assemblea dei senatori, ieri sera è stata la volta dei deputati riunirsi per decidere una linea che permetta di approvare il ddl senza un ulteriore passaggio al Senato. La riunione è stata però resa più difficile dall’emendamento presentato poco prima dalla componente cattolica del partito, primo firmatario il senatore Giampiero Dalla Zuanna, con cui si chiede di perseguire in Italia quanti fanno ricorso all’estero alla maternità surrogata. Non escludendo il carcere, con pene comprese tra i tre mesi e i due anni più una multa tra i 600 mila euro e il milione. Pene che salgono da 6 a 12 anni, più una multa analoga, per chi invece «organizza, favorisce o pubblicizza la pratica di surrogazione della maternità».

Proporre il carcere per chi fa ricorso alla gestazione per altri all’etero, significa alzare di molto l’asticella dello scontro, rischiando di far saltare ogni possibile riavvicinamento tra le diverse sensibilità del pd. Cosa che invece sembrava possibile fino a poco prima. Con tutte le conseguenze del caso. «Tra voto segreto e dissidenti al Senato ci sono già troppi rischi per il ddl e c’è il rischio che parti importanti della legge vengano affossate mettendo a rischio l’intero provvedimento», ragiona il dem Walter Verini. L’unica strada per uscirne è evitare le contrapposizioni estreme cercando un punto di caduta che possa soddisfare tutti. Per questo alla riunione di eri sera non è stata esclusa la possibilità di mantenere la stepchild adoption senza però renderla automatica come è adesso, bensì subordinandola a un periodo di pre-adozione per valutare le condizioni ambientali e affettive nelle quali si troverebbe a vivere il bambino, con la decisione finale affidata a un giudice minorile. Ma intervenire anche sugli articoli 2, 3 e 4 limando il più possibile i riferimenti al codice civile, vendendo così incontro non solo alle richieste dei cattolici, ma anche ad alcune possibili richiami da parte del Quirinale. L’ultimo punto riguarderebbe un emendamento all’articolo 5 per ribadire il divieto, già previsto dalla legge 40, della gestazione per altri. Una soluzione che potrebbe rispondere alle richieste di una parte dei parlamentari cattolici e in particolare di chi, come Emma Fattorini e Alfredo Bazoli, avevano chiesto interventi chirurgici al testo di legge. Il nuovo strappo dei cattolici dem rende però tutto più difficile rischiando di radicalizzare ancora di più lo scontro.