Ieri l’amministrazione Trump ha firmato la cosiddetta «Geneva Consensus Declaration», dichiarazione-appello rivolta agli Stati che dovrebbe promuovere il diritto delle donne alla salute, ma non riconosce loro il diritto all’aborto.

«Si riafferma che non esiste diritto internazionale all’aborto né alcun obbligo internazionale da parte degli Stati a finanziare o facilitare l’aborto», si legge nella dichiarazione.

A fare compagnia agli Stati uniti trumpiani – l’adesione è giunta sulla spinta del segretario di Stato Mike Pompeo, colui che ieri ha apposto il suo nome nella cerimonia di firma – ci sono altri trenta paesi, per lo più guidati da governi autoritari o illiberali: tra gli altri Brasile, Ungheria, Polonia, Uganda, Indonesia, Egitto, Bielorussia, Arabia Saudita, Bahrain, Emirati arabi e Libia.

Molti dei paesi in questione si sono uniti al gruppo anti-abortista proprio su spinta statunitense: dallo scorso anno l’amministrazione Trump lavora per trovare nuovi aderenti. Che guarda caso, ricordava ieri il Guardian, sono tra i peggiori luoghi al mondo per le donne, secondo l’indice Women, Peace and Security sviluppato dalla Georgetown University. In fondo alla classifica. Di quelli in cima, i primi 20 paesi per rispetto dei diritti delle donne, solo gli Usa (al 19esimo posto) hanno firmato la dichiarazione.

In ogni caso l’iniziativa non può dirsi di gran successo, visto che – come ricorda Gillian Kane della Ipas, associazione che si occupa di accesso all’aborto e alla contraccezione – di 193 Stati membri dell’Onu hanno aderito solo in 31.