Tutta la vita a girare nei pressi del blu oltremarino, della polvere d’oro, dei più limpidi e smaltati colori. Lei in bottega ci stava. Suo padre, Memmo, i figli li teneva tutti a bottega con lui e poi – ma lei era una bambina – aveva preso anche quell’altro ragazzo, Simone, diceva che era bravo. Lo era, molto, tanto da andare anche nella bottega più prestigiosa di Siena, quella di Duccio.
Forse Simone era più in gamba dei suoi fratelli, certo ne avrebbe avuto di successo… E lei l’avrebbe sposato, tutta la vita insieme, perché Giovanna nell’arte c’era nata e la capiva bene, anche quella di Simone. Sarebbe stata molto orgogliosa di quel marito famoso che l’avrebbe resa ricca. Ma lei soprattutto sapeva di arte, sapeva i rovelli che ne nascono, i desideri di sperimentare che si provano. Doveva essere una ragazzina quando Simone, pittore già affermato nella sua città e presso la corte angioina di Napoli, che all’epoca voleva dire tutto il Mediterraneo e la Francia, le donò ben 230 fiorini d’oro come dote, per garantirle sicurezza, per poterla sposare. Domina Iohanna si univa così in matrimonio, nel gennaio 1324, con Simone Martini che all’epoca doveva avere circa 40 anni. Se è vero che certi ritratti che compaiono nella cappella di San Martino ad Assisi e in altre opere di Simone, sono autoritratti, non doveva neanche essere granché bello questo marito. Forse tra le tante donne che il pittore dipinge, anche lei ci guarda ancora, ma non siamo capaci di ritrovarla. E poi questi figli che non arrivarono mai, chissà cosa ne pensava Giovanna.

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DELLA PRESENZA delle donne nelle botteghe degli artisti del Medioevo non si sa molto, ma non è difficile immaginare che anche loro passassero tanto tempo nei diversi lavori che affaccendavano un luogo dove si pestavano colori, bollivano resti di animali per fare varie colle, si preparavano legni e fondi e terre. A Siena poi, nelle botteghe spesso si preparavano anche smalti, si colavano metalli preziosi, si miniavano codici e così dovette essere pure in quella di Simone e dei suoi cognati, i fratelli di Giovanna.
È probabile che anche lei ne passasse di tempo lì a lavorare alle più lucenti, raffinate, splendenti e eleganti pitture dell’arte senese e internazionale. Ma Giovanna non dipingeva, preparava la grande quantità di materiali preziosi che occorrevano al marito. Preziosi, ma anche bizzarri, fogli di carta, pezzi di vetro, lamine di metallo che lui inseriva negli affreschi e nelle tavole come nessuno mai prima di allora.
Pochissimi documenti sono arrivati dal Medioevo, ma a Siena ce ne sono molti e raccontano non solo la grande arte, la grande letteratura, la costruzione di una potente borghesia e di una bellissima città. Anche la quotidianità dei suoi abitanti, il camminare insieme degli individui, il vivere fianco a fianco di una coppia, affittando una casa, restituendo un prestito, comprando un pezzo di terra.

NON C’È UN MOTIVO documentario sicuro, ma alla critica, agli scrittori, ai posteri insomma, questa coppia ha sempre dato l’idea che fosse complice e solida, unita dall’arte di Simone che donna Giovanna doveva guardare sempre con silente cura e attenzione. Molti anni di matrimonio, molta vita in comune, molta attenzione per i numerosi nipoti che arrivavano al posto dei figli, e questo i documenti lo raccontano fino al testamento di Simone.
Poi la grande celebrità chiama, nel 1340, la coppia ad Avignone, in una corte che era diventata un continuo incontro di culture, dove le arti visive erano finalmente state poste, quasi, al pari della letteratura. Dove Simone dipinge per la curia, ma soprattutto dove, per la prima volta, un intellettuale riconosce all’immagine dipinta una potenza dirompente. Petrarca scrive addirittura tre sonetti in onore di Simone, del «suo» Simone, «Ma certo il mio Simon fu in paradiso, Onde questa gentil donna si parte».

NEGLI ANNI in cui suo marito entra con onore nel consesso degli intellettuali Giovanna è lì, chissà forse frastornata, forse a lavorare come sempre, certo appartata. Ma nel suo appartato silenzio, qualcuno da un tempo molto lontano da lei la osservava e capiva quanto fosse capace di vivere dentro la progressiva astrazione che suo marito andava cercando in quel farsi sempre più pura luce della sua arte, in quel sigillare il caos del mondo dentro una lucentezza quasi ultraterrena. Era un poeta che l’osservava, Mario Luzi, il quale nel suo bellissimo Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, inventa che Simone non muoia ad Avignone nel 1344, ma che, moribondo, si faccia ricondurre a Siena da lei, da Giovanna, e da un pezzo di famiglia che era con loro. Un itinerario verso la morte, un percorso di purificazione e soprattutto di una visionaria percezione della realtà «quotidiana e terrosa», un viaggio dei sensi, così acuiti da diventare trascendenti.

L’ANZIANO PITTORE è qui, secoli dopo, che finalmente lascia la parola alla moglie, alla sua Giovanna, a lei che apre il libro e parla finalmente, parla spesso e suo marito «la ingemma nella mandorla di un perpetuante mito…».
Si incontrano gli sposi nell’incertezza dell’agonia di lui, del dormiveglia di lei «e lei, dentro, perduta, avanza a stento e con pazienza nel folto controvento, però non lo raggiunge». Simone ha bisogno di Giovanna, lei è la vita o ciò che resta «Chi lo nomina, chi gli dà grazia e persona, donna, tu sola, a questo miracolo».

MA SIMONE MORÌ in realtà lontano da Siena e da Avignone tornò Giovanna insieme a suo cognato Donato e alle spoglie dell’artista. Torna una vedova, rispettata, stimata dalla sua città. Nulla sappiamo più di lei, forse morì nella Peste nera che nel 1348 dimezzò la città, forse sopravvisse, ma una carta dell’Archivio di Siena tramanda una notizia e cioè che nel 1347 donò un calice e un messale al convento di San Domenico pro anima dicti viri sui. Era il 24 gennaio, anniversario delle nozze con il suo pittore.

 

SCHEDA, le parole del poeta Mario Luzi

Nel Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini il dialogo tra Giovanna e Simone è costante anche quando gli altri componenti del gruppo, Donato, il fratello di Simone che effettivamente era ad Avignone ad aiutarlo, la sua bizzarra e bella moglie, le figlie e uno studente forse di teologia, prendono la parola. Anche quando Simone, in una sorta di lucido e al tempo assopito delirio, riflette sull’arte, sul rapporto tra fisicità e trascendenza a cui essere artista impone di riflettere. Ma soprattutto è un rapporto visivo, Simone descrive, dipinge Giovanna, Giovanna fa altrettanto di Simone. La vista della loro città pone chi legge dentro il paesaggio della cappella di Assisi, del Guidoriccio, della pala del Beato Agostino Novello. L’apparire della coppia e della loro città diventa un omaggio, una delle letture più alte della pittura di Simone.
Giovanna
«Il rigoglio dell’essere./ O la pena/ delle generazioni./ Forse altro/ ancora me la spingeva verso o contro./ In quella fervida alchimia di tutta la materia,/ di tutto lo spirito,/ in quella nuova numinosa genesi./ Chi era? Da dove era la musica,/ dall’etere o dagli inferi?/ Fu in ansia il cuore,/ pretese, insana, di deciderlo la mente,/ ancora ottusa, ancora troppo umana./ Disputa, divisione – / sarai sempre e sarai sempre sovrana?»
Simone
«Dorme il suo viaggio, lui, entra/ fasciato dal suo sonno/nello spazio che lo ingoia/ e nel tempo che lo attende/ entra nel suo futuro/lui dormiente./ Grazia già preparata – azzurro/ e oro di un granito campo -/ o agguato da sempre o imboscata dell’istante – / che c’è oltre il sipario/ che gli s’apre, cielo / impercettibilmente,/ penombra di caverne – o niente:/ il tempo a cui, figlio, si rende,/ la durata a cui si affida/ il filo inafferrabile dell’universa vita…»
Mi guarda Siena
«Mi guarda Siena, / mi guarda sempre / dalla sua lontana altura / o da quella del ricordo – / come naufrago ? – / come transfuga ? / mi lancia incontro / la corsa / delle sue colline, / mi sferza in petto quel vento, / lo incrocia con il tempo – / il mio dirottamente / che le si avventa ai fianchi / dal profondo dell’infanzia / e quello dei miei morti / e l’altro d’ogni appena / memorabile esistenza… / Siamo ancora / io e lei, lei e io / soli, deserti. / Per un più estremo amore ? Certo».