Dello sciopero non si parla nel documento approvato ieri sera dall’Associazione nazionale magistrati, che pure è tornata a riunire il comitato direttivo centrale per la prima volta dopo la deludente giornata di astensione dal lavoro del 16 maggio scorso. «Ha scioperato un magistrato su due», ha ricordato il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, «non c’è stata un’adesione massiccia ma non credo sia stato un flop. Non volevamo fare una protesta fine a sé stessa ma un tentativo di comunicare all’esterno e questo obiettivo è stato centrato». All’attacco solo la corrente-non corrente di Articolo 101 che chiede le dimissioni di tutto il comitato centrale (anche se a sentir loro gli scioperi avrebbero dovuto essere di più), critica la corrente di sinistra, Magistratura democratica, che subito aveva giudicato lo sciopero un azzardo. «Bisognerebbe ripartire con iniziative come gli stati generali della giustizia, giornate di ascolto e confronto, incontri pubblici dove leggere le sentenze innovative che hanno fatto avanzare il riconoscimento dei diritti nel nostro paese e che adesso rischiano di diventare merce rara», ha detto Stefano Celli per Md.

In realtà, a stare al documento con cui a fine aprile l’assemblea di tutte le toghe (quasi tutte per delega) aveva lanciato lo sciopero contro la riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario voluta dal governo, in caso di mancato ascolto il vertice dell’Anm avrebbe dovuto valutare una nuova giornata di astensione. Visto il risultato deludente della prima, nessuno ci pensa più. Anche se l’Anm in qualche modo riconosce l’inefficacia della sua – pur estrema – iniziativa di protesta quando nel documento approvato ieri sera scrive che il disegno di legge in fase di approvazione al senato «sembra aprirsi a consistenti peggioramenti, come facilmente si può arguire dai contenuti di molti degli emendamenti presentati in sede referente al senato». Come volevasi dimostrare, visti i rapporti di forza al senato, se il testo approvato alla camera si aprisse a modifiche queste non andrebbero affatto incontro alle richieste dei magistrati, ma nella direzione opposta.

Solo il Pd, nella maggioranza, ha rispettato le consegne di non proporre emendamenti: Movimento 5 Stelle, Forza Italia e Pietro Grasso per Leu ne hanno presentati meno di dieci a testa, Italia viva una novantina e la Lega una sessantina. In più ci sono un centinaio di emendamenti arrivati da Fratelli d’Italia, in totale oltre 260. La commissione giustizia del senato, oltretutto, si è bloccata e lungi dall’approvare definitivamente il provvedimento entro metà maggio, come voleva la ministra Cartabia che sperava di tenere le elezioni per il nuovo Csm con le nuove regole a scadenza naturale (luglio), porterà il testo in aula solo dopo che gli elettori saranno andati a votare (o a non votare) per i cinque referendum sulla giustizia (come da obiettivo della Lega).

A questo punto l’Anm denuncia il rischio che si vada al rinnovo del Csm «con la legge elettorale in vigore, i cui vistosi difetti sono stati unanimemente riconosciuti». In realtà è un’eventualità che si può escludere: si sposteranno probabilmente a settembre le elezioni. Ma i magistrati, con buoni argomenti, sono assai critici anche verso la nuova legge elettorale, quella di cui denunciano la ritardata adozione. Paradosso frutto del momento di grande debolezza dell’Anm. Che ieri ha deciso di avviare un monitoraggio sull’efficacia del nuovo ufficio del processo voluto nei tribunali dalla ministra Cartabia per accelerare le pratiche. La paura è che lo strumento si dimostri poco efficace, i tempi della giustizia diminuiscano meno degli obiettivi indicati nel Pnrr e la colpa ricada sui magistrati.