Avevano la procura dalla loro parte, per la prima volta in dieci anni, ma non è bastato. Lucia Uva, la sorella di Giuseppe, trattiene la rabbia che invece fa urlare sua nipote Angela mentre ascolta la sentenza della corte d’Appello di Milano che assolve con formula piena gli otto gli imputati del processo per la morte del loro congiunto, l’operaio 43enne deceduto il 14 giugno 2008 dopo una notte trascorsa nella caserma di Varese e conclusasi con un ricovero in ospedale mediante Trattamento sanitario obbligatorio.

«Perché il fatto non sussite», è stato il giudizio della Corte. Lucia Uva ascolta e poi va stringere la mano e a ringraziare il pg Massimo Gaballo che aveva chiesto di condannare a 13 anni di reclusione i due carabinieri e a 10 anni e sei mesi i sei agenti di polizia, formulando l’accusa di omicidio preterintenzionale e sequestro di persona aggravato. I giudici milanesi però hanno ritenuto infondate le prove della procura generale e hanno confermato la sentenza di primo grado, riformulandola anzi a favore degli imputati, nel caso dei due carabinieri che erano stati già assolti dall’accusa di sequestro di persona con la formula «il fatto non costituisce reato». E così dopo dieci anni, non è stato individuato alcun responsabile per la morte improvvisa di un uomo mentre era sotto la custodia dello Stato.

«È una sentenza pericolosa», ha commentato l’avvocato Fabio Ambrosetti, legale della famiglia Uva, preoccupato «soprattutto che ci possa essere una limitazione della libertà personale quando non ci sono esigenze di identificazione o ragioni reali». Per la magistratura inquirente, infatti, come per la famiglia, non c’era alcuna ragione di trattenere per una notte in caserma  – senza avvisare la magistratura – Giuseppe Uva e il suo amico Alberto Biggioggero, già conosciuti alle forze dell’ordine cittadine e che quella sera del 13 giugno 2008, ubriachi, stavano schiamazzando in strada, trascinando cassonetti e transenne.

È stato Biggioggero, testimone chiave per la pubblica accusa ma ritenuto dai giudici non attendibile in quando alcolista e con gravi problemi psichici (tre giorni fa è stato condannato a 14 anni di carcere per l’omicidio del proprio padre, Ferruccio), a raccontare come avvenne l’arresto e a denunciare di aver visto i carabinieri picchiare Giuseppe Uva, e di aver sentito l’amico urlare quando vennero separati in caserma. Altro punto di incompatibilità tra la tesi dell’accusa e quella – vincente – della difesa è la causa della morte dell’uomo. È pacifico che il decesso sia avvenuto per un’aritmia cardiaca, come stabilito da una perizia disposta dallo stesso Tribunale. Ma il pg Gaballo sosteneva che «anche a prescindere dalle eventuali percosse subite e dalle lesioni riscontrate sul suo corpo», l’aritmia che ha ucciso Uva sarebbe stata causata «dalla violenta manomissione sulla sua persona col trasferimento coatto in caserma». Non la pensano così i giudici.

Ora, dopo che saranno rese note le motivazioni della Corte d’Appello, l’avvocato Ambrosetti ha annunciato il ricorso in Cassazione. Ma le nuove regole imposte dal recente decreto legge Minniti-Orlando, che limitano il terzo grado di giudizio nel caso in cui i primi due siano simili, crea qualche perplessità: «Ancora non possiamo dire con certezza se sia possibile o meno il ricorso in Cassazione – ha spiegato il legale della famiglia Uva – dipende dall’interpretazione che daranno i giudici delle nuova legge. Certo i margini sarebbero molto stretti, visto che la sentenza d’appello è migliorativa rispetto al primo grado».

Estremamente soddisfatti, invece, gli imputati. «Non solo perché sono stati assolti – ha spiegato l’avvocato Luca Marsico, uno dei difensori – ma perché addirittura è stato accolto il nostro appello incidentale per cui il reato di sequestro di persona oggi si è trasformato in un fatto che non sussiste. Il che certifica che carabinieri e poliziotti hanno operato facendo ciò che dovevano fare».

Nessun colpevole, dunque. Eppure, come sottolinea Antonella Soldo, presidente di Radicali Italiani, al di là dell’«ingiustizia inferta al corpo martoriato di Uva», e dell’«oltraggio al dolore dei suoi familiari», «quando un uomo muore nelle mani dello Stato un responsabile c’è: ed è lo Stato stesso».