L’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, europarlamentare S&L e vicepresidente della commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo, da sempre è una delle personalità più vicine all’associazione Antigone, con la quale ha collaborato in numerose occasioni.

Giuliano Pisapia Foto LaPresse

Onorevole, qual è il primo risultato che le viene in mente tra i più importanti ottenuti dall’associazione Antigone?

Di battaglie importanti ce ne sono state tante, alcune siamo riusciti a vincerle anche insieme a tante altre associazioni. Ma Antigone ha da sempre una caratteristica che non è di molti: non si limita a criticare o a denunciare, ma fa sempre proposte concrete sulla base di dati reali ed esperienze vissute. Penso al tema delle misure alternative al carcere, che all’inizio ha visto erigersi alti muri, ma che sono oggi una realtà positiva (anche se sarebbe necessario più coraggio). Ma direi che la grande battaglia è stata, ed è, quella sui diritti dei detenuti nella quale Antigone ha avuto un ruolo fondamentale. Sembrava un’iniziativa di pochi, è diventata un’iniziativa italiana ed europea. Quando ero sindaco di Milano abbiamo istituito non solo il garante comunale dei diritti delle persone private della libertà ma anche il garante dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e la delegata alle pari opportunità e alla parità di genere.

Guardando all’Europa e a come ha reagito sulla questione di Giulio Regeni e Patrick Zaki, quale potere ha l’associazionismo nel far cambiare passo alle istituzioni europee nella tutela dei diritti umani?

Come parlamentare europeo da soli due anni ho un’esperienza limitata ma molto positiva sul tema dei diritti, del carcere e delle garanzie. Ma quando si parla di Europa bisogna tenere conto che ci sono tre istituzioni indipendenti. Il Parlamento europeo, eletto dai cittadini, che ha preso posizioni molto forte nei confronti dei Paesi che violano i diritti umani, civili e politici e che ha deciso anche sanzioni nei loro confronti. La Commissione europea che pure va in questa direzione. Il blocco e il silenzio assordante in molte occasioni in cui l’Europa dovrebbe dimostrare forza e unità è purtroppo il Consiglio europeo, al quale partecipano i rappresentanti dei governi dei Paesi membri, e dove per le decisioni più delicate è necessaria l’unanimità. Lì basta un singolo Paese – come è già capitato con l’Ungheria, la Polonia e altri – per azzerare le decisioni prese dalle altre istituzioni. Ecco, bisogna superare questa assurdità e questo potrà avvenire solo se vi sarà una spinta e una mobilitazione dal basso verso l’alto. Posso anticipare che finalmente nei prossimi mesi dovrebbe vedere la luce la «Conferenza sul futuro dell’Europa» che sarà un luogo di ascolto del territorio da parte delle istituzioni europee. Questa conferenza durerà 9 o 12 mesi e, su temi come quelli dello stato di diritto, della pace e della solidarietà, l’associazionismo potrà dare un contributo fondamentale per superare l’attuale normativa che fa vincere gli egoismi dei singoli Stati.

Se ne parla da mesi, ora l’iniziativa si sta concretizzando?

Alla proposta hanno aderito la Commissione europea e il Parlamento a grande maggioranza. Doveva iniziare lo scorso maggio ma è stata rinviata al 9 maggio 2021 perché si è ritenuto fondamentale il rapporto diretto anche col territorio. I dibattiti, i confronti, le riunioni on line, che evidentemente sono indispensabili in periodi di emergenza, non debbono far venire meno la possibilità di partecipare a chi non ha la possibilità di collegarsi in rete.

Lei nel giugno 2006 fu a capo di una Commissione per la riforma del codice penale italiano: mettendo a frutto anche il lavoro di tre precedenti commissioni, elaborò una proposta di riforma che conteneva tra l’altro l’abolizione dell’ergastolo, la limitazione della durata dei processi, argini alla discrezionalità dei giudici, decise depenalizzazioni. Oggi di quelle sue proposte non rimane nulla?

Si, ho avuto l’onore di presiedere quella Commissione e avevamo elaborato un testo che, partendo dal diritto penale minimo e mite, aveva fatto molte proposte concrete, realizzabili e garantiste che avrebbero diminuito i tempi processuali ma non a scapito delle garanzie. Le nostre proposte erano già assegnate alla commissione Giustizia del Senato quando è caduto il governo Prodi e il cammino riformista si è fermato. Non solo, ma negli ultimi anni le varie maggioranze parlamentari sono andate proprio nella direzione opposta.

Qual è il suo giudizio sull’imprinting dato al sistema italiano di giustizia dal ministro Bonafede?

Una parte delle proposte avanzate dalla Commissione del 2006 sono state fatte proprie dal ministro Orlando, purtroppo bloccate poi dal governo M5S- Lega. Successivamente si è pure aggiunta la norma sulla prescrizione, ahimè approvata anche dal Pd, che è molto negativa e in aperto contrasto con la nostra Costituzione che garantisce, o dovrebbe garantire, il giusto processo e la sua «ragionevole durata». Quindi non solo non sono stati fatti passi avanti, ma si sono fatti molti passi indietro sui temi fondamentali del diritto di difesa nel processo penale.

Cosa si aspetta dalla nuova ministra Marta Cartabia?

Ci ridà la speranza di vere riforme che incidano positivamente non solo sui tempi dei giudizi civili ma anche sui tempi troppo lunghi della giustizia penale e sulle condizioni, spesso disumane e degradanti, delle nostre carceri. La ministra della giustizia è stata ordinaria di Diritto Costituzionale e Presidente della Corte Costituzionale e ha sempre mostrato concretezza e attenzione ai temi dei diritti e della giustizia.

Il sistema di giustizia italiano è in linea con gli altri Paesi europei? Cosa si aspetta l’Europa da noi in questo campo?

Sulla giustizia e sulle condizioni carcerarie siamo fanalini di coda: la durata media dei processi civili e penali è di gran lunga maggiore di quella di altri Paesi europei. Anche sulle condiziono delle nostre carceri siamo maglia nera. Proprio per questo una delle priorità dell’attuale governo dovrà essere una vera riforma della nostra giustizia. Lo ha detto esplicitamente l’Unione europea: per poter beneficiare delle ingenti somme messe a disposizione dal «Next generation Eu» l’Italia dovrà fare alcune riforme ferme da tempo e non procrastinabili. Tra le priorità vi è la riforma della giustizia. Spero che questa possa essere la volta buona…ma non sono molto ottimista.