L’importante voto di oggi potrebbe sancire definitivamente la prematura fine dell’ascesa di Martin Schulz. Sembrava irresistibile, si sta rivelando un’illusione prodottasi nel circuito mediatico, senza radici vere nella società. Il leader socialdemocratico venuto dall’Europa ha incrociato un umore passeggero utile a pompare l’industria dei sondaggi, ma non sembra affatto in grado di suscitare e incarnare un’autentica, profonda domanda di cambiamento. In Germania non c’è Wechselstimmung, quell’«aria di svolta» che si è respirata nei passaggi di fase nella Repubblica federale: sul finire degli anni Sessanta con le mobilitazioni studentesche e il Willy Brandt che prometteva di «osare più democrazia», e al termine del lungo dominio di Helmut Kohl sul finale di secolo, con i democristiani ormai invecchiati e ammaccati da sedici anni di potere, arroccati su posizioni ultra-conservatrici e anti-ecologiste non più in linea con il sentire dell’opinione pubblica.

È bene non farsi illusioni, dunque, sul 2017 tedesco. Il quadro desolante non cambierebbe nemmeno se stasera la Spd fosse primo partito, risultato che salverebbe Hannelore Kraft nel ruolo di governatrice e darebbe un po’ di ossigeno al candidato cancelliere, ma che non aprirebbe alcuna reale prospettiva politica nuova. E il motivo sta – oggi come sempre – nell’irrisolto nodo dei rapporti a sinistra.

Negli ultimi giorni di campagna elettorale Kraft ha pensato bene di dichiarare solennemente che non guiderebbe mai un’amministrazione regionale con la Linke, chiudendo di fatto all’unica possibilità di governo diversa dalla grosse Koalition con i democristiani (o da una meno probabile alleanza con i liberali). Nel Land simbolo della storia operaia della Spd, quello politicamente più «pesante» del Paese, si compie quindi un enorme passo indietro sulla strada della normalizzazione delle relazioni fra le forze «a sinistra del centro», e in particolare fra Spd e Linke. Una scelta, quella di Kraft, che si spiega solo con la volontà di competere con la Cdu per la conquista di quell’elettorato «di mezzo» che sembra essere l’unico che i socialdemocratici si sentono in grado di convincere.

Se la boutade anti-Linke può forse servire alla governatrice del Nordreno-Vestfalia ad arrivare questa sera di qualche zero virgola davanti ai democristiani, una simile strategia di chiusura a sinistra è la tomba su qualsiasi possibilità che Schulz possa diventare cancelliere. I numeri parlano chiaro. Al di là degli sbalzi temporanei, a livello federale la tendenza di fondo vede l’Unione Cdu/Csu di Angela Merkel stabilmente al primo posto: se anche nella prossima legislatura prenderà vita una grande coalizione, la guida sarà sempre democristiana. L’unica – al momento comunque remotissima – chance che l’ex presidente dell’Europarlamento ha di diventare capo del governo sta dunque in una coalizione con Verdi e Linke, la Spd non ha alternativa. Il sorpasso sulla Cdu/Csu, che potrebbe mettere Schulz nella comoda condizione di scegliere fra una grosse Koalition a ruoli invertiti e un’alleanza delle sinistre, non ci sarà, perché Angela Merkel ha saputo ancora una volta riposizionarsi, indurendo la sua politica di accoglienza per mantenere il controllo del suo partito. Merkiavelli, come la definì con acume Ulrich Beck, mostra una capacità di resistenza alle avversità che non teme confronti sulla scena politica mondiale.

A variare un copione già scritto potrebbero essere solamente turbolenze nei mesi a venire sul fronte dei profughi, tali da infliggere alla cancelliera un danno maggiore di quello – significativo ma non letale – subito nell’ultimo anno. Ecco il triste paradosso della Germania di oggi: Merkel può essere indebolita solo da destra. Eppure le contraddizioni su cui fare leva «da sinistra» non mancano: lavoro precario, diseguaglianze, povertà. E ora si aggiunge la scoperta di una cellula di terrorismo neonazista addirittura nelle file dell’esercito, nata e cresciuta senza che la democristiana ministra della difesa Von der Leyen si accorgesse di nulla. Ma i conti dello stato sono in ordine, e il vecchio ed esperto Wolfgang Schäuble con la sua politica di bilancio da «brava massaia sveva» rassicura la maggioranza della classe media. La Spd, chiunque ne sia alla testa, non riesce a scalfire il muro dell’austerità che ha contribuito a edificare: il suo messaggio di cambiamento risulta non ancora credibile. Non da ultimo perché l’alternativa è ancor più difficile da costruire quando si governa insieme agli avversari.