Nell’anno in cui celebra il centenario del suffragio universale, e un lustro dopo il varo della legge che impone la presenza del 30% di donne nel settore pubblico e privato, la Germania riflette il suo grado di «partecipazione paritaria».

Tra la statistica che dimostra come l’obiettivo sia ancora tutt’altro che raggiunto e la politica convinta che serva una regola più stringente, come immaginano i Verdi in Brandeburgo (dove si vota il 1 settembre) e ad Amburgo con il progetto di legge che prevede non solo metà delle liste riservate alle donne ma anche l’alternanza di genere «uno a uno».

 

Certamente il governo della Bundesrepublik fino al 2021 è nelle mani dell’ex «ragazza dell’Est» Angela Merkel; nella Cdu adesso comanda la «regina della Saar» Annegret Kramp-Karrenbauer; e la Spd, per la prima volta, ha eletto la segretaria Andrea Nahles. Senza contare la Linke, presieduta dalla «Chefin» Katja Kipping, oppure l’astro nascente dei Verdi, Katharina Schulze (soprannominata «Duracell») vera vincitrice delle elezioni bavaresi.

Tuttavia al Bundestag le parlamentari corrispondono ad appena il 37%, e nell’intera società le tedesche che ricoprono incarichi che contano sono solo il 22,5% del totale, come rileva l’istituto “Statista” nelle tabelle sulle «posizioni dirigenziali».

Nei consigli di amministrazione delle prime 30 società dell’indice Dax di Francoforte la presenza femminile è pari al 13%; nelle 200 che compongono l’ossatura del made in Germany non supera quota 8%. Il numero di tirocinanti donna nei settori pubblici o privati si ferma al 37,8%, assai lontano dalla «parità di genere» promessa nero su bianco dalla norma vigente dal 1 maggio 2015. Nelle università tedesche, inoltre, solamente il 23% dei professori a tempo indeterminato è femmina, nonostante in aule e laboratori si contino il 50% di studentesse e il 45% di dottorande.

Dati certificati, all’attenzione di Berlino che da sabato scorso è selettivamente concentrata sulla confinante Potsdam, capitale del Brandeburgo, dove il governo Spd-Linke ha annunciato l’appoggio alla proposta di legge dei Verdi che impone l’alternanza di genere nelle liste elettorali.

Un progetto-pilota per l’intera Germania, quattro mesi prima della celebrazione ufficiale del centenario del suffragio universale, come conferma il leader della Spd locale Mike Bischoff: «Abbiamo assunto un ruolo pioneristico».

Nel partito socialdemocratico ha avviato il dibattito per superare «le attuali regole sull’avanzamento del diritto che finora non hanno prodotto i risultati previsti» con il pieno appoggio, a quanto pare, della ministra federale della Famiglia, Franziska Giffey, che in parallelo chiede al governo «nuove iniziative per una rappresentanza più forte delle donne al Bundestag».

La proposta di legge del Brandeburgo prevede che una volta stabilito il capolista si alterni obbligatoriamente il nome di un uomo a quello di una donna, e coincide a ciò che immaginano i Verdi anche ad Amburgo.

«Oltre il 52% degli elettori del Land sono donne, eppure nel Parlamento locale risulta solo il 38% di deputate. Chi rappresenta più della metà della popolazione ha diritto a esercitare almeno metà del potere. Nel 2019 non possiamo più limitarci alle parole» riassume la presidente dei Verdi di Amburgo, Anna Gallina, sull’ Hamburger Abendblatt.

«Un’iniziativa antidemocratica» taglia corto il capogruppo locale di Alternative für Deutschland, Alexander Wolf che di uguaglianza non vuole neppure sentirne parlare, mentre Die Welt fa notare come anche tra i liberali l’idea della parità di genere sia «a malapena tollerata». L’ex ministra della Giustizia di Fdp, Sabine Leutheusser-Schnarrenberger, da poco si professa favorevole alla legge sulle quote ma ai tempi del governo pensava l’esatto opposto. Nel suo partito è attivo un apposito gruppo di lavoro (con l’obiettivo soprattutto di attrarre nuove iscritte ed elettrici) anche se il tema pare interessare poco alle giovani liberal tedesche «meno disilluse sul potere maschile». Con buona pace della cancelliera Merkel che nella sua recente intervista a Die Zeit ha dichiarato di considerare «logica la parità, in qualunque campo».