«Siamo ancora lontani dalla verità». Da Amsterdam, dov’è arrivato venerdì per una serie di incontri con i colleghi europei, il ministro degli esteri italiano Paolo Gentiloni manda un messaggio al governo egiziano. A quell’ora, siamo in prima mattinata, ancora si rincorrono le notizie sui due uomini arrestati al Cairo per l’omicidio del giovane dottorando Giulio Regeni. Arresti-lampo sui quali neanche la Farnesina riesce ad avere notizie chiare. Ma questo già dice abbastanza a Gentiloni, che ai cronisti risponde: «Dalle cose che ho sentito sia dall’ambasciata sia dagli investigatori italiani che stanno cominciando a lavorare con le autorità egiziane, siamo lontani dal dire che questi arresti abbiano risolto o chiarito la vicenda». Poco dopo i media cairoti confermano indirettamente queste parole diffondendo la notizia del rilascio dei due.

A quegli arresti l’Italia non ha creduto un gran ché dall’inizio. Per il ministro «bisogna assolutamente che questo lavoro possa essere fatto insieme. E il lavoro sta incominciando in questo momento». Il team dei sette inquirenti italiani (tre poliziotti dello Sco, tre carabinieri del Ros e un funzionario dell’Interpol) è arrivato al Cairo venerdì sera. Il loro lavoro, di fatto, è iniziato ieri mattina. Certo ci sono le indagini precedenti. Ma è proprio questo il punto. Il governo italiano assicura collaborazione, soprattutto la chiede. E chiede «che sia fatta piena chiarezza», ribadisce il ministro Andrea Orlando all’ora di pranzo dall’aeroporto di Ciampino, alle porte di Roma, dove va ad accogliere a nome dell’esecutivo il corpo del giovane e a abbracciare la famiglia, accompagnato dal presidente della commissione esteri del senato Pier Ferdinando Casini. Che a sua volta già aveva affidato la sua opinione al manifesto: «Non servono verità di comodo per far contenta l’opinione pubblica. Servono indagini serie».

E la preoccupazione per il rischio di indagini tese a chiudere presto il caso per ripristinare l’affettuosa cordialità fra due paesi in affari, è diffusa. Pesa il forte legame fra governo italiano e il golpista Al Sisi. Pesano soprattutto i ripetuti attestati di stima di Renzi nei confronti del generale. Da sinistra Nicola Fratoianni ringrazia Gentiloni: «Parole giuste: non ci si può accontentare di alcuni “casuali” arresti per placare il bisogno di verità e giustizia». Da destra la reazione è opposta: «Le parole di Gentiloni lasciano basiti», attacca Daniela Santanché, «affermare che siamo ancora lontani dalla verità la dice lunga sullo stato delle relazioni tra il governo italiano e quello egiziano». Dalla Lega ai 5 stelle è un crescendo di polemica. «Possibile che questo governo non abbia un minimo di autorevolezza?», accusa Roberto Calderoli, «possibile che non possiamo mai alzare la voce e farci sentire neppure quando ci uccidono un nostro ragazzo seviziandolo e gettandolo in un fosso?».

La realpolitik italiana nei confronti del dittatore egiziano giustifica sospetti. Che per i deputati e senatori grillini delle commissioni esteri sono certezze. «Questa tragedia è il prezzo che l’Italia paga a causa dei rapporti tra Renzi e il generale Al-Sisi», scrivono in una nota. I precedenti del premier con il golpista non aiutano a fare un atto di fiducia verso Palazzo Chigi: «Nessuno dei leader europei tranne l’ex sindaco di Firenze – che è stato il primo leader occidentale a incontrare il capo di governo egiziano – si è spinto così vicino al Pinochet d’Egitto. Lo definì uno “statista”, gli disse “la tua guerra è la nostra guerra”, o ancora: “La ricostruzione del Mediterraneo è nelle tue mani”. Ammiccamenti volti a curare in primis gli interessi enormi di Eni e la benevolenza del Cairo per qualsiasi iniziativa militare in Libia». La sentenza a 5 stelle è di colpevolezza: dietro la morte del ragazzo c’è tutta la politica estera dei governi di ieri, oggi e domani: «Specifiche responsabilità di questo omicidio risiedono anche nelle scelte di politica estera portate avanti dal governo. Dai sauditi alle bombe esportate in paesi coinvolti in conflitti, passando per l’acquisto degli F35 e il ritorno ad occupare l’Iraq, l’Italia e i suoi cittadini non sono mai stati così esposti al pericolo negli ultimi anni». Con buona pace degli esecutori materiali delle torture e dell’omicidio di Giulio, e dei loro mandanti.