Gentile Direttore,
ho letto con attenzione l’articolo «La credibilità della polizia è da ricostruire» perché tocca uno degli aspetti che ritengo fondamentali nel rapporto tra Stato e cittadino. Quello della credibilità delle Istituzioni.

La mia storia personale, ancor più professionale, ruota tutta intorno a questo principio. Se le Istituzioni non sono credibili, se i cittadini non si riconoscono nelle Strutture che li governano, non vi può essere alcun virtuoso rapporto tra essi.

Ne ho fatto una sorta di mantra in tutte le mie esperienze professionali che hanno toccato gli aspetti della Sicurezza nelle sue molteplici accezioni. Da direttore dell’Agenzia di intelligence interna, a Capo del Dipartimento della protezione civile e, da ultimo, ora quale Capo della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza.

Ho espresso parole chiare e nette sulle responsabilità di quanto accadde nel corso del G8 di Genova. L’ho fatto in modo convinto, perché ho sempre ritenuto, per dirla con una iperbole, che non vada condannato chi dà la manganellata (o perlomeno non solo, se vi sono abusi), bensì chi ordina la carica. E queste parole le ho pronunciate, non come spesso accade nell’ambito ristretto di Uffici del Palazzo, per usare le parole del giornalista, bensì in pubblico e le ho anche consegnate alla carta stampata.

Parole che avrei potuto evitare (da noi si dice che non è importante farsi amici, quanto evitare di farsi nemici) perché io a Genova non c’ero e non c’era nessuno dell’attuale vertice della Polizia di Stato. Ma poiché chi è a Capo di una struttura deve farsi carico anche del passato di essa, ho ritenuto necessario prendere le distanze una volta e per tutte da quella vicenda.

E quelle parole non sono rimaste petizioni di principio. Molte delle persone condannate per quell’avvenimento sono ormai andate in pensione. Altre hanno abbandonato l’Amministrazione.

Le restanti sono state reintegrate, così come prevede la legge, con mansioni proporzionate alle qualifiche ricoperte. Nessuna promozione è stata conferita. Nessun avanzamento in carriera. Nessun posto di prestigio o di responsabilità, anticamera per future progressioni. Nel frattempo, abbiamo percorso chilometri di strada. Abbiamo modificato i criteri di assunzione, formazione, aggiornamento, progressione in carriera. Tra le file dei nostri poliziotti, anche nelle qualifiche di base, ci sono percentuali di laureati in passato inimmaginabili. Abbiamo costituito anche un Ufficio Affari Interni, per il controllo del nostro personale. Insomma posso affermare, senza tema di essere smentito, che siamo migliori di quanto eravamo. Ed è per questo che tra le Istituzioni pubbliche, le forze di Polizia sono ai primi posti per indice di fiducia dei cittadini.

Però la credibilità delle Istituzioni passa anche attraverso una rappresentazione veritiera del suo agire. Il continuare a rappresentare il G8 di Genova come una vicenda esclusivamente limitata alla Polizia mi pare profondamente ingiusto e riduttivo. A Genova non c’erano solo poliziotti. C’era tutto lo Stato, nelle sue molteplici articolazioni. Del resto la magistratura contabile ha condannato 28 persone, tra cui magistrati, medici e componenti di altre amministrazioni. Di essi solo 9 erano poliziotti (nessuno dei quali, tra l’altro, con compiti di responsabilità) e Bolzaneto, citato nell’articolo, lo ricordo a me stesso, non era una struttura sotto la direzione della Polizia di Stato. Noi, grazie anche ai mass media, il nostro processo per il superamento di quella vicenda lo abbiamo affrontato. I nostri poliziotti sono stati condannati ed hanno scontato interamente le pene irrogate. Forse è giunto il tempo per una stampa, attenta e consapevole, quale si è dimostrata nei nostri confronti, di affrontare quella pagina della nostra storia in tutta la sua complessità. Perché altrimenti sorge il sospetto che quella che vada ricostruita non è solo la credibilità della Polizia.

* Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza