«Porteremo con noi un nuovo spirito di cooperazione (con gli Usa). Non ho dubbi che questo nuovo spirito contribuirà alla sicurezza di Israele», spiegava ieri il premier israeliano di destra Naftali Bennett poco prima di decollare per gli Stati uniti dove domani alla Casa Bianca incontrerà Joe Biden. Iran, Covid, Afghanistan i temi uffciali del faccia a faccia. Bennett non ha citato i palestinesi sotto occupazione militare, confermando che la volontà di tenere bassa l’attenzione su una questione che lui già ritiene risolta: no alla nascita dello Stato di Palestina in Cisgiordania e Gaza. Se ieri ha ignorato i palestinesi, Bennett forse si occuperà di loro già oggi. Nel pomeriggio è convocata a Khan Yunis e altre località di Gaza vicine alle linee di demarcazione con Israele una nuova manifestazione alla quale dovrebbero partecipare, su esortazione del movimento Hamas, migliaia di palestinesi. Sarà più ampia di quella di sabato scorso in cui una trentina di giovani manifestanti sono stati feriti dal fuoco dei cecchini dell’esercito israeliano e un soldato è stato raggiunto alla testa da un colpo di pistola esploso da un palestinese giunto fin sotto le postazioni militari.

«La spada di Gerusalemme non sarà inguainata» è il nome che Hamas ha dato alla manifestazione in riferimento all’escalation militare con Israele di maggio che il movimento islamista ripete di aver innescato per difendere Gerusalemme e i suoi luoghi santi islamici. Ma ora non è Gerusalemme bensì la dura realtà di Gaza sotto blocco israeliano dal 2007 che torna in primo piano. I negoziati indiretti tra Hamas e Israele, mediati dagli egiziani, non hanno portato ad alcun risultato. E non ha avuto un impatto l’annuncio del Qatar e delle Nazioni Unite della creazione di un nuovo meccanismo per garantire l’arrivo a Gaza di decine di milioni di dollari a sostegno di migliaia di famiglie palestinesi in miseria. Un aiuto che Israele aveva bloccato per colpire Hamas. Inoltre, il governo Bennett resta fermo sulla condizione che qualsiasi cambiamento concreto per Gaza sia legato alla restituzione da parte di Hamas dei corpi di due soldati morti in combattimento nel 2014 e alla liberazione di due civili, un ebreo etiope e un arabo israeliano. Da parte sua il movimento islamista vuole la fine del blocco e la scarcerazione di centinaia di prigionieri politici palestinesi. La trattativa ferma ormai da settimane si è tradotta immediatamente in tensione lungo le linee di confine. Hamas ha rilanciato le azioni di disturbo notturne e l’uso di palloncini incendiari. Israele ha risposto con pesanti bombardamenti aerei contro Gaza, l’ultimo lunedì notte. Una nuova escalation, come quella di maggio, ormai viene data per certa dalle due parti e la popolazione di Gaza si sta preparando al peggio.

Non vanno meglio le cose in Cisgiordania dove aumenta la tensione tra coloni israeliani e palestinesi e non si arrestano i raid notturni dell’esercito e della polizia di Israele alla ricerca di presunti «terroristi». L’ultimo, due giorni fa, nel campo profughi di Balata (Nablus), è costato la vita a un quindicenne, Imad Hashash, colpito alla testa dal fuoco di una unità scelta israeliana durante le proteste seguite al raid. Secondo il portavoce militare, il ragazzo palestinese si accingeva a scagliare dall’alto un oggetto pesante contro i soldati. In questo quadro, l’Autorità nazionale palestinese del presidente Abu Mazen invece resta impegnata a reprimere il dissenso e le proteste di chi chiede giustizia per Nizar Banat, un oppositore pestato a morte due mesi fa da agenti del mukhabarat (intelligence). Tra sabato e domenica l’Anp ha fatto arrestare almeno trenta palestinesi, tra i quali l’attivista Fadi Quran, l’accademico Imad Barghouti e il poeta Zakaria Mohammad. Alcuni degli arrestati sono stati scarcerati nelle ultime ore. Una campagna repressiva condannata ieri anche da Unione europea e Onu ma le critiche non sfiorano l’Anp.