Con il passare delle ore si avvicina il baratro di una nuova guerra ampia e distruttiva. Il raid letale a sorpresa contro Gaza lanciato da Israele a inizio settimana – assieme a tre comandanti di Saraya Al Quds, il braccio armato del Jihad islami, sono rimasti uccisi anche bambini e donne – si è rapidamente trasformato in una spirale di attacchi e rappresaglie. Israele sta impiegando e mostrando i più raffinati strumenti tecnologici di morte. Missili di ultima generazione, bombe computerizzate, droni killer e molto altro. E con essi in tre giorni ha ucciso cinque capi militari del Jihad – gli ultimi due ieri: Ahmad Abu Daqqa e Ali Ghali – e diversi civili, inclusa un’altra bambina. Fino a ieri sera il totale dei palestinesi morti nei bombardamenti era di 30, tra i quali cinque bambini e quattro donne, una novantina i feriti.

Una casa palestinese distrutta da un missile

L’organizzazione islamista da parte sua ha lanciato nel pomeriggio un’altra raffica di razzi, in apparenza più potenti, pare anche il Buraq 85, per vendicare i suoi comandanti ammazzati da Israele. Uno di questi ha centrato in pieno un palazzo in un’area residenziale di Rehovot uccidendo un israeliano e ferendone altri cinque. Altre decine di razzi sono state indirizzate verso l’area a sud di Tel Aviv, Ashkelon, Sderot. «Saraya Al-Quds ha adempiuto al proprio dovere e alla propria promessa di vendicare i martiri palestinesi, sia civili che combattenti», ha comunicato il Jihad islami. Ha risposto indirettamente il capo del comando meridionale delle forze armate israeliane, Eliezer Toledano affermando che devono essere eliminati più membri del Jihad «per realizzare il potenziale di questa operazione». «Premo l’acceleratore, il comandante in alto mi dirà quando fermarmi…C’è un lavoro molto importante da fare» ha aggiunto. Qualche ora prima il ministro per Gerusalemme, Amichai Eliyahu (Potere ebraico), citato dalla televisione pubblica Kan, aveva avvertito che «per ogni missile lanciato verso Israele» pagheranno quelli del Jihad «e le loro famiglie». A sera, a seguito di una valutazione della sicurezza a Tel Aviv, l’ufficio del premier Netanyahu ha rilasciato una dichiarazione in cui si afferma che Israele «continuerà a far pagare un prezzo pesante alla Jihad islamica per la sua aggressione contro i cittadini israeliani». Il primo ministro e ministro della difesa Yoav Gallant hanno elogiato l’Esercito e lo Shin Bet (intelligence), aggiungendo che l’operazione continuerà per tutto il tempo necessario.

L'edificio di Rehovot colpito dal razzo
L’edificio di Rehovot colpito dal razzo

​     Il crepuscolo ha aperto la porta a una notte che tutti si attendevano drammatica, da una parte e dall’altra delle linee di demarcazione. Certo di più a Gaza dove non ci sono rifugi per la popolazione, i civili sono totalmente indifesi e le loro case possono rivelarsi una trappola. Le strade di Gaza, perciò, si sono rapidamente svuotate. «I civili (di Gaza) sanno che queste offensive israeliane possono concludersi nel giro di due-tre giorni ma anche sfociare in una guerra vera e propria» ci diceva ieri Meri Calvelli, cooperante italiana rientrata domenica scorsa nella Striscia di Gaza, territorio dove contribuisce a realizzare progetti di sviluppo da circa trent’anni. «La gente ha paura» ha aggiunto «sa che quando Israele richiama i riservisti e prepara le forze di terra oltre all’aviazione, per Gaza saranno giorni molto duri. Spera perciò in un cessate il fuoco, ieri (mercoledì) sembrava raggiungibile, invece è saltato tutto. La speranza si sta affievolendo in queste ore. E nel frattempo, con l’aumentare del numero dei feriti, si stanno aggravando le condizioni degli ospedali di Gaza, già precarie da anni».

Il cessate il fuoco resta solo una ipotesi. Il rappresentante del Jihad islami in Egitto, Muhammad Alhandi, membro dell’ufficio politico dell’organizzazione, arrivato al Cairo su invito dell’intelligence egiziana, ha fatto conoscere le condizioni della sua organizzazione per una tregua: la cessazione dell’assassinio mirato di suoi militanti in Cisgiordania e a Gaza – al quale Israele non intende rinunciare, almeno non del tutto – la restituzione del corpo di Khader Adnan, morto il mese scorso dopo 86 giorni di sciopero della fame in una prigione israeliana, e l’annullamento della Marcia delle Bandiere prevista il 18 maggio a Gerusalemme. Si tratta della sfilata annuale che migliaia di ultranazionalisti israeliani tengono nella zona araba della città per celebrare il «Giorno di Gerusalemme». Quest’anno, sicuri del sostegno di molti esponenti del governo di estrema destra guidato da Benyamin Netanyahu, intendono attraversare i quartieri palestinesi nella città vecchia.

Una ulteriore escalation appare inevitabile. Netanyahu si è consultato per tutto il giorno con consiglieri, ministri e comandanti militari. Nel suo governo tanti premono per il pugno di ferro, per colpire senza esitazioni Gaza. Ma più morti e distruzioni potrebbero far entrare in campo, con tutto il suo potenziale bellico, il movimento islamico Hamas che sino ad oggi ha dato solo un sostegno limitato al Jihad. Tace o balbetta l’Autorità Nazionale di Abu Mazen mentre da Usa ed Europa giungono i soliti appelli a fermare le ostilità che non affrontano mai le cause concrete del conflitto.