Nello scacchiere internazionale che la guerra in Ucraina ci porta a osservare, la Moldavia è uno dei territori che vale la pena capire meglio. Ex Repubblica Socialista Sovietica, è chiusa tra Ucraina e Romania. Una pianura cosparsa di vitigni e piccoli centri rurali di casupole malandate con il tetto in eternit come standard, e una vivace capitale che cerca di guardare a occidente: Chisinau. La Moldavia ha una popolazione di poco più di tre milioni e mezzo di abitanti e stando ai dati Unhcr ha già accolto quasi quattrocentomila rifugiati dall’Ucraina. Benché il transito di queste persone verso altri paesi, perlopiù in Ue, sia reso veloce dall’intervento di tantissime ong e istituzioni, lo sforzo per il paese è immane. Nonostante i moldavi abbiano aperto le loro case e partecipino attivamente al supporto dei rifugiati, sono preoccupati e consapevoli di vivere in un paese debole, che avrebbe ben pochi mezzi per difendersi da un eventuale attacco da parte di Putin, nel caso in cui l’Ucraina capitolasse. Molti mi dicono di starsi già preparando a dover fuggire anche loro.

Comrat, rifugiate ucraine fuggite da Odessa. Foto di Emanuela Zampa

MA NON È SOLO la povertà dell’economia e dell’esercito a preoccupare, anche il mosaico linguistico e culturale è complesso e potenzialmente problematico. Oltre all’ormai blindato territorio separatista filorusso della Transnistria, che ha rivendicato la sua indipendenza nel 1990, seguita da una guerra nel 1992. Una sottile striscia di terra oltre i fiume Nistro, dove il tempo si è fermato a quello sovietico, coacervo di traffici illegali e deposito di armi, vociferano alcuni. Quel che è certo, è che adesso a giornalisti e fotografi l’accesso è vietato. Ma non è l’unico territorio separatista: nel sud del paese si trova infatti la Gagauzia. Un territorio indipendente, russofono e russofilo. Situato in un’area quasi completamente pianeggiante di 1832 km², si tratta perlopiù dell’antica Bessarabia, una delle regioni che formavano il Principato di Moldavia. In seguito alla vittoriosa guerra dei Russi contro gli Ottomani nel 1812, la Bessarabia fu ceduta come ricompensa all’impero zarista. A quel tempo nella zona viveva una popolazione nomade, i Nogai, che in quanto ostili vennero cacciati e al loro posto vennero invitati, o deportati secondo altre fonti, i Gagauzi, popolo probabilmente di origine ottomana e anatolica, cattolici ortodossi, che fino ad allora avevano vissuto pacificamente tra Bulgaria e Romania e che entrarono così in possesso, quasi casualmente, di quella che è ora la loro terra. Il fatto non è stato politicamente rilevante fino al crollo dell’Unione Sovietica, e quando nel 1991 la Moldavia ha proclamato la sua indipendenza, temendo di venire inglobati dalla cultura rumena dominante nel paese, i gagauzi scelsero, nello stesso anno, di proclamare l’indipendenza.

SEGUÌ UN PERIODO di tensione fino al 1994, quando venne creata l’Entità Territoriale Autonoma Gagauza all’interno della Moldavia, con un suo statuto autonomo. La sua capitale è Comrat, e le autonomie dell’assemblea del popolo gagauzo, composta da 35 membri, sono varie; possono infatti varare leggi in molti ambiti: fiscale, economico, culturale, scolastico e di sicurezza pubblica. I circa 150mila abitanti della regione sono governati oggi da Irina Vlah, indipendentista e, ovviamente, filorussa. Qua si stima che solo il 12,5% della popolazione sappia parlare moldavo, ossia rumeno. La maggior parte parla russo, o la terza lingua, il gagauzo, che deriva dal turco.

L’inizio della Regione di Gagauzia. Foto di Emanuela Zampa

LA STATUA DI LENIN campeggia davanti al palazzo della regione, nel cui ingresso si trova il plastico di un centro educativo in fase di costruzione, dedicato, come da inscrizione sulla base, a Recep Tayyip Erdogan. A complicare il quadro, infatti, è la forte presenza di interessi turchi, retaggio dell’origine del popolo gagauzo. Il presidente turco Edorgan ha incaricato l’Agenzia Turca per lo Sviluppo e Cooperazione Internazionale (Tika) di aprire una sede in Moldavia. In Gagauzia la Tika è molto attiva, sia sul piano culturale, non distante c’è la biblioteca Ataturk, che ha tra gli altri lo scopo di diffondere la lingua gagauza e organizza seminari e incontri, che sul piano infrastrutturale. Anche la diffusione di elettricità e acqua potabile in Gagauzia è stata ottenuta con fondi turchi.

LO STATUTO DI AUTONOMIA è oltretutto in fase di rinnovo, e questo potrebbe generare attriti in uno scenario generale già drammatico. Un referendum del 2014 ha già riconfermato la linea del Gagauz Autonomy Act del 1994 e prefigura alcune ipotesi di autodeterminazione; non solo, ha anche rigettato la Carta di Bruxelles e chiesto legami più stringenti con la Russia.
La distanza da Odessa è esigua, solo 160 Km, e anche qui sono arrivati alcuni profughi ucraini. Da Odessa vengono anche Natalia, Alla e Natasha. Le incontriamo in un edificio comunale dove è stato allestito un piccolo deposito per abiti e generi di prima necessità. Ci raccontano di come è stato dormire per notti e notti vestite, con tutto pronto per scappare. E poi le sirene, i bombardamenti che hanno infine danneggiato la casa, costringendole alla fuga. In macchina, per fortuna, e verso casa di un’amica che le aspettava qua a Comrat. Natalia si dice ancora molto scossa per quanto trascorso. Ci raccontano il viaggio per superare il confine, quello che normalmente è un breve tragitto di un paio d’ore trasformatosi in 30 ore di attesa. E confermano: per uscire dal paese bisogna pagare, anche per questo per ora a scappare sono perlopiù i più ricchi. Chi più chi meno, a seconda dei casi: per gli uomini che vogliono lasciare il paese infatti il prezzo è arrivato a 10.000 euro. La guerra genera sempre mostri.