La tappa della scorsa settimana nelle relazioni internazionali, segnata dalla riunione del G7 e dal summit dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai (Ocs), si è conclusa con una vittoria imprevista per Vladimir Putin.
In Canada la riunione dei sette paesi più industrializzati si è chiusa nel caos più completo.

Donald Trump, già sull’Air Force One diretto a Singapore, ha tuonato su Twitter: «Sulla base delle false dichiarazioni di Justin nella sua conferenza stampa e il fatto che il Canada mette dazi massicci ai nostri agricoltori, i lavoratori e le aziende americane, ho dato istruzioni ai nostri rappresentanti Usa di non approvare il comunicato finale».

E la cancelliera Merkel lasciando La Malbaie ha commentato laconicamente: «Vertice deludente e deprimente». Che non sarebbe stato un incontro di routine si era già inteso dall’apertura con l’invito di Trump a far rientrare la Russia nel «forum dei grandi», subito stoppato dalla Francia. Ma anche dallo «Zar del Cremlino» che da Quingdao replicava con sarcasmo.

«Per quanto riguarda il rientro della Russia nel “sette” o negli “otto”, noi non ne siamo usciti. I colleghi degli altri paesi a suo tempo rifiutarono di venire in Russia per le note ragioni. Non c’è problema, saremo ben contenti di vederli da noi a Mosca», dichiarava Putin riferendosi all’espulsione de facto della Russia dal G8 in seguito della vicenda crimeana nel 2014.

Del resto era sin troppo evidente che l’apertura della Casa bianca era tutto fuorché spassionata e in funzione anti-europea e il presidente russo, da buon tattico, vuole concedere a Trump la possibilità di far vedere le sue carte ma solo sul piano dei rapporti bilaterali, non garantendogli sponde nella partita dei dazi.

Putin ha proposto a Trump persino un incontro a breve: «Nel momento in cui gli americani saranno pronti, l’incontro potrà tenersi». Ma a condizione di affrontare le situazioni che gli stanno più a cuore: Ucraina, Siria e last but least Iran. «Molti paesi, come l’Austria, sarebbero disponibili a ospitare questo incontro e la questione mi pare tecnica. L’importante è che ci sia e affronti delle questioni concrete», ha sostenuto Putin.

Il presidente russo vorrebbe evitare insomma quei comportamenti da «lingua biforcuta» per cui nella storia sono conosciuti i nordamericani: «Vorrebbero che noi concedessimo qualcosa sulla Siria pur di chiudere sul Donbass, per poi vederci ancora addosso altre divisioni Nato ai nostri confini», commentava ieri un deputato alla Duma.

Ma il niet di Putin a un ipotetico rientro nel G8 è segnato anche da considerazioni strategiche e di più ampio respiro. Per volume di mercato, con l’entrata a pieno titolo di India e Pakistan, il gruppo dei paesi dell’Ocs ha superato quello dei paesi del G7.

«Se valutiamo a livello pro capite “i sette” sono più ricchi ma le dimensioni dei mercati dell’Ocs sono più ampie e quantitativamente rappresentano più della metà della popolazione mondiale», ha sottolineato un Putin sempre più convinto che il fulcro dell’economia e dello sviluppo sociale si stia spostando inesorabilmente verso Oriente.

Anche l’incontro con Xi a Pechino, in cui si sono stati firmati nuovi contratti e create nuove joint venture russo-cinesi, «è stato foriero di riflessioni per il presidente Putin», commentava ieri il quotidiano moscovita Vedomosti. Negli ultimi anni con il mercato finanziario sbarrato dalle sanzioni occidentali la Russia è sopravvissuta anche grazie alle banche cinesi. E Putin non l’ha scordato.