È salito a 80 il numero dei morti nel naufragio, giovedì, di una nave piena di migranti partita da Minyeh, nord del Libano. Il ministro dei trasporti siriano Khazim stima che l’imbarcazione avesse a bordo tra 120 e 150 persone: libanesi, siriani e palestinesi.

La nave, diretta in Italia attraverso una rotta sempre più battuta da quando la crisi in Libano è scoppiata nel 2019, si è capovolta al largo della costa siriana di Tartus. La guardia costiera siriana si è occupata delle operazioni di recupero dei corpi e dei pochi sopravvissuti, una ventina, di cui sei accertati libanesi, trasportati all’ospedale al-Bassel di Tartus. Tanti ancora i dispersi.

IL PRIMO MINISTRO libanese Mikati ha dichiarato di star lavorando con il governo siriano per il rientro delle vittime in patria, mentre il presidente Aoun promette assistenza alle famiglie. L’esercito ha fermato giovedì due uomini con l’accusa di traffico di persone nella regione di Akkar, la più povera del Libano e dalla quale proviene la maggior parte dei migranti libanesi.

Martedì un’altra imbarcazione con a bordo 55 migranti, salpata dal nord del Libano e sulla stessa rotta la settimana scorsa, era stata intercettata dalla guardia costiera greca a largo di Creta dopo un guasto e i migranti portati a Izmir in Turchia. Sempre al largo della Grecia, un’altra barca di migranti partita il 19 settembre dalla stessa zona era stata trasferita a Kalamata giovedì pomeriggio. Questa volta per fortuna nessuna vittima.

La lista è lunghissima e le tragedie si moltiplicano. Ad aprile aveva fatto scalpore la vicenda della nave affondata a poche miglia dalla costa di Tripoli dopo una collisione con la marina libanese, che i sopravvissuti avevano raccontato come un vero e proprio speronamento. Tanti gli appelli per la giustizia, nulla di fatto in pratica.

Il Libano ha una popolazione di quattro milioni di persone e accoglie circa due milioni di rifugiati siriani in un territorio di 10mila mq. Il numero di siriani è approssimativo: oltre alla difficoltà oggettiva di monitorare in alcune aree di confine gli ingressi, l’Onu ha smesso di contarli nel 2019. I palestinesi registrati dall’agenzia Onu Unrwa sono circa 500mila.

LA NUOVA ROTTA è conseguenza della crisi che ha colpito duramente il paese nel 2019, che non accenna a migliorare e che ha precipitato i tre quarti della popolazione in povertà assoluta. I migranti provengono in larga parte da zone come quelle di Akkar, storicamente abbandonate a loro stesse anche da prima del 2019. Il 46% della popolazione è alla fame secondo l’ultimo rapporto del World Food Program. Situazione aggravata dalla guerra in Ucraina: il Libano, come tutta l’area mediterranea in percentuali diverse, dipende da Russia e Ucraina per grano e olio di semi.

La devastante crisi economico-finanziaria che ha messo in ginocchio il Libano e con le spalle al muro il popolo libanese non sembra avere soluzioni al momento, nonostante i ripetuti proclami interni e le spinte da parte della comunità internazionale.

DA QUANDO nel 2019 i conti bancari sono stati congelati, la valuta ha subito una svalutazione da 1.500 lire per un dollaro ai 38mila di questi giorni. Nonostante la dollarizzazione dell’economia e la doppia moneta, gli stipendi pubblici, ma anche buona parte di quelli privati, vengono ancora pagati in lire e c’è stato solo un insignificante incremento. L’elettricità è già razionata da un paio d’anni. Sono proprio di questi ultimi giorni gli assalti, tra il simbolico e il disperato, alle banche per riprendersi i propri risparmi.

Ottenere un visto per uscire dal Libano è al momento molto difficile. Le domande negli ultimi tre anni sono aumentate a dismisura e le liste d’attesa sono infinite. La disperazione è tale in alcune fasce della popolazione che ci si affida al mare. E anche la morte, nell’indifferenza e a causa di chi gestisce il potere, è un’opzione più degna di ciò che ci si lascia alle spalle.