C’è l’illusione che il vecchio mondo sia tornato. Il secondo turno delle elezioni regionali e dipartimentali francesi, domenica, ha premiato gli uscenti: la destra dei Républicains (Lr) ha confermato la presidenza nelle sette regioni che già governava (e in 64 dipartimenti), i socialisti restano al comando nelle 5 regioni che già avevano (ma il Pcf incassa la perdita del solo dipartimento che dirigeva, il Val-de-Marne, passato a Lr).

L’astensione vince di nuovo al secondo turno, con solo un piccolo rialzo della partecipazione (65,4% di astenuti al secondo turno, 66,7% al primo), dovuta soprattutto alla Provenza-Costa Azzurra, per la sfida del Rassemblement national (Rn): l’estrema destra non riesce a conquistare l’unica regione dove aveva delle serie possibilità e viene distanziata (57,3% per il presidente uscente Lr Renaud Muselier, alleato già al primo turno con La République en Marche, Lrem, contro 42,7% al Rn). Qui ha funzionato il “fronte repubblicano”, il candidato verde si è ritirato per non far correre il rischio di una vittoria dell’estrema destra. Lrem, che sei anni fa non esisteva, non aveva nulla da difendere, ma è uscita a pezzi dal voto, raccogliendo solo il 7% su base nazionale. Rn perde voti in modo consistente a livello globale.

La forte astensione, riconfermata al secondo turno, rivela che l’assestamento politico in Francia è ancora lontano dall’essere concluso. Per questo, il sondaggio realizzato in parallelo al voto regionale sulle presidenziali dell’aprile 2022 va preso con riserva: se si votasse oggi, al secondo turno arriverebbero Emmanuel Macron e Marine Le Pen, con il 24% ciascuno, cioè i grandi sconfitti delle regionali. «Adesso le presidenziali sono una partita a tre» ha affermato il presidente rieletto degli Hauts-de-France, Xavier Bertrand, che già si prepara a correre per l’Eliseo e che il sondaggio dà al 18%.

Nel nord, Bertrand è riuscito a ribaltare la situazione, strappando la preminenza al Rn. Ha schiacciato Lrem, che aveva candidato qui, proprio per sbarrargli la strada della candidatura all’Eliseo, ben 5 ministri (ne esce bene solo il ministro degli Interni, Gérald Darmanin, ex Lr, vittorioso nel suo cantone). Ma la candidatura di Bertrand è ancora lontana, perché anche i suoi contendenti a destra – Valérie Pécresse nell’Ile-de-France e Laurent Wauquiez in Auvergne-Rhône-Alpes – hanno vinto bene. A settembre Lr dovrà scegliere, ma la decisione è in alto mare, anche perché Bertrand e Pécresse ormai hanno un piede fuori dal partito e non intendono farsi dettare le condizioni per la candidatura. Tutti e tre hanno fatto una campagna più nazionale che locale, molto a destra.

Per un terzo degli astenuti, la ragione evocata è uno “scontento” generalizzato verso tutto il mondo politico. Per il centrista François Bayrou, si tratta di «un avvertimento» per la democrazia. Macron ieri ha ammesso che dovranno essere tratte «tutte le conseguenze».

Le regionali aprono molti interrogativi anche a sinistra. Lo slancio dei Verdi è frenato, non conquistano nessuna regione, anche se, in assoluto Europa Ecologia è la lista che aumenta di più i voti, «moltiplicati per tre rispetto a sei anni fa», dice Yannick Jadot, candidato in pectore alla presidenziale (il sondaggio gli dà il 10% al primo turno).

La presidente rieletta con la percentuale più alta in assoluto, più del 58% – la socialista Carole Delga in Occitanie – lo è stata senza accordo di unione con i Verdi (ma aveva l’appoggio dell’ambientalista José Bové). Per il segretario socialista, Olivier Faure, «il Ps è la forza motrice». Ma non ha per il momento un candidato per le presidenziali (la sindaca di Parigi Anne Hidalgo è data tra l’8 e il 9% nel sondaggio).

La France Insoumise è in difficoltà, nel sondaggio sulle presidenziali Jean-Luc Mélenchon è dato al 7% al primo turno.