Francia, le convergenze parallele della purezza identitaria
Intervista Un’intervista con lo scrittore congolese Alain Mabanckou, autore del romanzo «African Psycho». «Il Front national condivide lo stesso disprezzo degli jihadisti verso la Francia bastarda, cioè multiculturale e multietnica»
Intervista Un’intervista con lo scrittore congolese Alain Mabanckou, autore del romanzo «African Psycho». «Il Front national condivide lo stesso disprezzo degli jihadisti verso la Francia bastarda, cioè multiculturale e multietnica»
Grégoire, il protagonista di African Psycho, il romanzo di Alain Mabanckou appena pubblicato da 66thand2nd (pp.192, euro 17) sogna di diventare un serial killer famoso e temuto, riscattando così una vita miserabile, condotta ai margini di una immaginaria città congolese, in un quartiere noto solo per le sue prostitute, i suoi ubriaconi e il suo alto tasso di criminalità. Per molti versi, il giovane africano subisce il fascino della violenza grazie all’impatto che hanno su di lui l’evocazione delle gesta sanguinarie di uno spietato assassino del passato, come i giovani che si avvicinano al terrorismo jihadista subiscono oggi quelle delle immagini di morte veicolate dalla propaganda dell’Isis.
Se il romanzo gioca con ironia e leggerezza con i canoni del noir, rimandando fin dal titolo ad American Psycho di Bret Easton Ellis, Mabanckou non si sottrae ad affrontare ora il tema dell’analogia con la violenza terribile che ha colpito Parigi il 13 novembre. Violenza che ha inoltre alimentato ulteriormente l’appeal elettorale del Front National, in quello che appare un terribile, e almeno in apparenza inarrestabile corto circuito.
Tra i maggiori scrittori di origine africana delle ultime stagioni, nato in Congo, trasferitori a Parigi vent’anni fa e che ha vissuto a lungo negli Stati Uniti, e insegnato in alcune delle più prestigiose università del paese, compresa l’Ucla di Los Angeles, Mabanckou è del resto un testimone diretto di come il diffondersi della violenza, del razzismo e delle derive identitarie caratterizzi ormai sempre più spesso l’Europa, l’intero Occidente ma anche l’Africa.
La spaventa la forte affermazione elettorale di Marine Le Pen?
Più che spaventato sono incredulo, mi chiedo come possa il paese della rivoluzione del 1789 e dei diritti dell’uomo aver prodotto una simile deriva. Anche se si deve essere chiari: non si tratta di un fulmine a ciel sereno, i segnali della crisi che ha prodotto questo risultato sono visibili da tempo nella società francese, e sono di natura sociale come culturale, ma nessuno, tra chi si oppone al Front National, ha pensato di dover intervenire concretamente, di fare qualcosa per fermare questa minaccia.
La vittoria di Le Pen arriva a poche settimane dalle stragi di Parigi e dopo anni che il clima politico e culturale in Francia si è andato caratterizzando per un dibattito senza fine sull’identità nazionale e per espliciti riferimenti da parte di alcuni politici ad «una società di razza bianca» che sarebbe da preservare. Gli jihadisti sono i migliori alleati dell’estrema destra?
Per molti versi si, condividono il medesimo odio per ogni diversità, immaginano spazi culturali omogenei. Il terrorismo islamico ha orrore del meticciato, definisce quella europea come una società bastarda proprio perché frutto dell’incontro tra genti e culture diverse. Guardate i volti e le biografie delle persone uccise al Bataclan, tra loro c’erano arabi, africani, asiatici, ebrei, dei bianchi come dei neri: in una parola, la Francia multiculturale, «bastarda» come dicono loro. Credo che il primo obiettivo dei responsabili delle stragi del 13 novembre sia proprio quello di favorire le derive identitarie contro la cultura delle differenze.
Quanto a coloro che parlano della Francia come di un paese «bianco», come ha fatto recentemente l’esponente del centrodestra Nadine Morano, oltre alla malafede c’è anche tanta ignoranza. Evidentemente non sanno o hanno dimenticato che il paese è stato liberato del nazismo anche dai tiratori senegalesi, che durante la guerra la capitale della Francia libera era Brazaville, in Congo, o che politici africani come Léopold Sédar Senghor sono stati dei parlamentari della République e hanno fatto la storia di questo paese. Forse chi fa simili affermazioni ha letto i fumetti di Asterix più che i libri di storia.
Prima Parigi, quindi Bamako, infine San Bernardino in California, le stragi si succedono in luoghi a lei cari, come valuta quello che sta succedendo?
Per spiegare tutto ciò in molti fanno riferimento alla ricchezza degli uni e alla povertà degli altri, alle diseguaglianze che dominano il pianeta. Io vengo da un mondo povero come l’Africa ma ritengo invece che ci troviamo in presenza di una minaccia che è prima di tutto di natura ideologica. Il fatto che dicendo di parlare «in nome di Dio» ci sia chi vuole cancellare i valori di ciò che viene definito come «Occidente», ma che sono democrazia, libertà e convivenza tra culture differenti, vale a dire valori universali che non hanno confini geografici né culturali, mi preoccupa davvero tanto. Una guerra a un certo punto finisce, ma per fermare tutto ciò basterà davvero eliminare questo o quel gruppo terroristico?
Si è trasferito in Francia quando aveva 23 anni, più o meno la stessa età di alcuni jihadisti di Parigi nati in famiglie dell’emigrazione maghrebina o africana. Cosa pensa della traiettoria esistenziale di questi giovani?
Sono contento che mi chieda qualcosa in proposito, perché oggi in molti, a partire proprio dal Front National, alimentano una pericolosa e voluta confusione tra i terroristi e gli immigrati che rappresentano invece due figure irriducibili, opposte l’una all’altra. Gli immigrati sono persone che vogliono lasciare lo spazio in cui vivono per sfuggire all’intolleranza e al pericolo e che vogliono costruirsi un futuro e crescere come individui, mentre invece i terroristi si muovono all’interno di una prospettiva di conquista ideologica, vogliono, secondo la loro visione, punire i peccati e la corruzione delle società occidentali in cui, per altro, sono spesso nati e cresciuti. I primi inseguono il desiderio di una propria personale trasformazione come esseri umani, i secondi vogliono invece imporre a tutti gli altri il loro modello di essere umano. I terroristi sono i primi nemici degli immigrati.
Pur essendo stato scritto già nel 2003, African Psycho sembra avere molto a che fare con l’atmosfera di violenza che si respira oggi. Malgrado sia ciò che desidera, il protagonista del romanzo, non riuscirà però a diventare un serial-killer, perché?
In effetti Grégoire incarna proprio il fascino che il crimine e la violenza più efferata possono esercitare sugli individui, un po’ come accade per alcuni giovani adepti dei gruppi terroristi. Il mio personaggio è un perdente e cerca risposte identificandosi con un assassino seriale che è realmente esistito tra gli anni 50 e 60 nello Zaire e in Congo. Si chiamava Angoualima e la sua tragica fama gli è sopravvissuta a lungo, al punto che quando ero bambino si raccontavano ancora le sue gesta sanguinarie o i suoi «poteri» straordinari, come il fatto di avere due volti diversi. Grégoire pensa di riscattare la sua esistenza miserabile ripercorrendo le orme di quel mostro di cui ha appreso la storia nei racconti che gli sono stati tramandati dagli anziani. Oggi, molti ragazzi alla deriva fanno altrettanto dopo essere stati indottrinati alla jihad su internet o aver visto i video delle decapitazioni effettuate in Siria o in Iraq: sognano di imbracciare un kalashnikov come i fratelli Kouachi o Amedy Coulibaly, i responsabili delle stragi di gennaio a Parigi. Alla fine, però, Grégoire non riuscirà ad uccidere nessuno perché in fondo per lui la vita, anche se piena di difficoltà e tristezza, è importante: non è disposto a perdere la propria umanità. Il suo apprendistato criminale si trasformerà in una farsa e così, dei suoi sforzi per diventare un assassino, finiremo tutti per ridere piuttosto che avere paura
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