In prima pagina il quotidiano del partito comunista Granma annunciava ieri l’arrivo «di sua santità il patriarca di tutta la Russia», Kirill. Sottolineando come il leader della Chiesa ortodossa autocefala russa sia amico di Cuba (l’ha già visitata tre volte), e come la rivoluzione abbia aperto le porte dell’isola già dal 1964 alla piccola comunità cristiano ortodossa dell’isola. Dunque, grande onore al patriarca che sbarcando ieri all’Avana ha dato inizio al conto alla rovescia per lo «storico incontro» di oggi con papa Francesco. Tutto è pronto per il grande abbraccio ecumenico col quale i due sommi rappresentanti della cristianità dovranno porre le premesse per superare lo scisma che li divide da quasi un millennio.

Cuba, quantomeno la Cuba ufficiale, non nasconde il suo orgoglio per essere stata scelta come paese ospite di un evento che rimarrà nei libri di storia e, soprattutto, che ha riflessi mediatici mondiali. «Cuba è un simbolo per il mondo; come chiave del Golfo (del Messico) apre la porta alla pace e al dialogo», ha dichiaratio ieri il reverendo Joel Ortega Dopico, presidente del Consiglio delle Chiese dell’isola, una istituzione ecumenica che raccoglie le varie chiese cristiane (compresa l’ortodossa, eredità soprattutto dei tempi dell’alleanza con l’Uone sovietica). Come ospite e organizzatore dello storico incontro, il presidente Raúl Castro sarà ritratto con i due leader della cristianità in una foto che farà il giro del mondo e proietterà l’immagine di un’isola «con vocazione storica al dialogo e alla pace».

Ponti d’oro dunque a Kirill che, come annuncia Granma, si fermerà all’Avana fino a domenica e «avrà un colloquio col presidente Raúl» e forse anche con Fidel, che aveva già incontrato nel suo precedente viaggio nell’isola nel 2008. Kirill dimostra che, parallelamente al grande evento storico per la cristianità – ma anche, così si sottolinea, per i fedeli di altre religioni visto il messaggio che emana a favore della pace e del dialogo interreligioso – è impegnato anche in una missione politica.

L’incontro ecumenico di oggi tra papa Francesco e il patriarca Kirill avviene dopo molti anni di trattative e vari incontri falliti all’ultimo momento per volontà soprattutto del precedente patriarca Alexei II, che accusava il Vaticano di attuare una politica di ingerenza. L’obiettivo principale, dunque, è lanciare un messaggio di riconciliazione e un segnale «di pace e di dialogo» per il mondo. Per questa ragione i due leader religiosi, dopo un colloquio di due ore, firmeranno una dichiarazione comune che lascerà da parte le differenze teologiche – da tempo all’esame di speciali commissioni- e verterà sui temi comuni alle due Chiese quali la difesa della vita, del matrimonio, della famiglia. Ma esprimerà anche la preoccupazione per la persecuzione – «genocidio» secondo il patriarcato di Mosca – cui sono sottoposti i cristiani in Medio Oriente e in Africa del Nord.

Dunque, non è solo in controluce, che dall’incontro verrà anche un segnale di natura politica in una fase in cui le due chiese cristiane sono impegnate a rilanciare il proprio ruolo. L’abbraccio con Kirill rafforza infatti la linea riformatrice di Francesco, che oggi realizza un obiettivo perseguito invano da anni, anche da personalità di grande carisma come Giovanni Paolo II. È un successo che il pontefice vuole spendere in America latina, subcontinente ritenuto essenziale per il futuro della Chiesa cattolica romana.

Anche il patriarca russo gioca le sue carte. Paragonato al suo predecessore, Kirill proietta l’immagine di una personalità più “militante”, che cerca un maggiore ruolo della Chiesa ortodossa sia in politica interna che internazionale. Il suo appoggio alla linea nazional-imperiale del presidente Putin e del suo governo è indubbio. E la sua missione all’Avana, l’abbraccio con Francesco e la Chiesa occidentale, e in seguito in America latina hanno anche lo scopo di appoggiare gli sforzi del Cremlino per rompere l’isolamento seguito alla crisi dell’Ucraina.

Ma, come detto, rivendicando un ruolo più autonomo. Kirill infatti ha di recente tolto dal suo incarico di responsabile dell’informazione del patriarcato l’arciprete Vselolod Chaplin, esponente della fazione che propugna «la guerra santa» della Russia in Siria contro «i terroristi islamici». E responsabile delle tristi cerimonie che hanno visto prelati ortodossi benedire le armi russe inviate in Siria.

Indubbio il successo di Cuba e del presidente Raúl Castro, artefice di questo evento mondiale. Il governo cubano accresce l’immagine di un «paese a vocazione pacifica», impegnato da due anni a ospitare e favorire i colloqui di pace tra il governo della Colombia e la guerriglia delle Farc e in pieno dialogo politico con gli Stati uniti per superare le conseguenze di più di cinquant’anni di guerra fredda con Washington, oggi ospiterà questo storico incontro tra i leader della religione dell’Occidente.

In particolare, il più giovane dei fratelli Castro diventa il protagonista di un evento mondiale, rivendicando a Cuba un ruolo geopolitico strategico come “porta dell’America latina” che non ricopriva dai tempi in cui, negli anni Settanta del secolo scorso, Fidel era uno dei grandi leader del movimento dei paesi non allineati e quando Cuba era la guida della Trilateral, l’organizzazione antimperialista che voleva unire i movimenti di Africa, Asia e America latina.

Naturalmente i tempi sono diversi, Raúl è impegnato sia a portare avanti riforme economico-sociali per superare la crisi economica e cercare di costruire un socialismo «prospero e sostenibile», sia a promuovere una nuova classe dirigente che sostituisca quella seguita alla rivoluzione vittoriosa nel 1959. Sono questi i temi che dovrà affrontare il VII congresso del partito comunista convocato per il prossimo aprile, ma che implicano un progredire nel processo di normalizzazione con gli Usa. Processo che avrà probabilmente un momento chiave nella visita che il presidente Barack Obama dovrebbe attuare a Cuba in marzo.

Da parte loro i cubani seguono le vicende dello “storico incontro” di oggi con un atteggiamento piuttosto pragmatico, interessati più alle conseguenze pratiche –un miglioramento della loro vita quotidiana- che al messaggio ecumenico.