Dal transatlantico al banco degli imputati. Riccardo Nuti, ex capogruppo alla Camera, Claudia Mannino e Giulia Di Vita, si dovranno probabilmente difendere a processo dall’accusa di avere orchestrato la ricopiatura delle firme originali, dunque falsificandole, raccolte cinque anni fa per supportare la lista del M5s che si presentò alle comunali di Palermo. Dopo tre mesi di indagini e accertamenti, la Procura di Palermo ha chiuso l’inchiesta.

IL PROCURATORE AGGIUNTO Dino Petralia e il pm Claudia Ferrari hanno notificato a 14 indagati la chiusura dell’indagine. Atto che generalmente fa da preludio alla richiesta di rinvio a giudizio e in caso di accoglimento da parte del giudice all’apertura del processo.

PER L’ACCUSA, che contesta agli indagati, a vario titolo, il falso e la violazione di un dpr regionale del 1960 che recepisce la legge nazionale sulle consultazioni elettorali, ci sarebbero pochi dubbi: dopo essersi accorti di un errore nelle generalità di uno dei candidati nella lista (nato a Palermo invece che a Corleone), i grillini avrebbero temuto l’estromissione dalla competizione elettorale non avendo più tempo per raccogliere nuovamente le firme. Riccardo Nuti, allora candidato sindaco, e un gruppo ristretto di attivisti fedelissimi – tra cui Samantha Busalacchi, Claudia Mannino e Giulia Di Vita – avrebbero pensato a un rimedio: ricopiare le firme originali già in loro possesso.

IN UNA NOTTE CAOTICA, trascorsa nell’allora sede del meetup in via Sanpolo, sarebbero state falsificate centinaia di autografi. Non c’è la prova che Nuti abbia materialmente partecipato al falso, ma i pm sono convinti sulla base di una serie di testimonianze raccolte, che sapeva e avrebbe tratto vantaggio dall’operazione, altrimenti non si sarebbe potuto candidare. Tanto basta per contestargli il reato. Ai suoi e a un gruppo di attivisti, invece, i pm imputano la falsificazione. Mentre al cancelliere del tribunale, Giovanni Scarpello, incaricato di attestare che le firme erano state apposte in sua presenza, i magistrati contestano il falso ideologico in concorso con un avvocato, Francesco Menallo, altro ex esponente grillino, che materialmente gli consegnò gli elenchi delle firme. Il caso è esploso dopo la denuncia di un ex esponente dei 5stelle, Vincenzo Pintagro, che ha raccontato in tv la vicenda: la Procura ha riaperto il fascicolo che nel 2014 era stato archiviato. Affidando le indagini alla Digos.

FONDAMENTALE è stato il contributo di due deputati regionali del movimento, Giorgio Ciaccio e Claudia La Rocca, che si sono presentati spontaneamente in Procura per raccontare responsabilità e ruoli dei colleghi nella vicenda. Altri due attivisti hanno poi confermato tutto. E dall’indagine – i pm hanno sentito una serie di parlamentari siciliani – è emerso che in molti nel movimento sapevano. Nella fase delle indagini i pm hanno chiesto un saggio grafico agli indagati, ma solo due hanno acconsentito a rilasciarlo. Il rifiuto degli altri ha allungato i tempi di una inchiesta che avrebbe potuto portare a una richiesta di giudizio immediato. Inoltre i deputati nazionali e l’attivista Busalacchi hanno fatto scena muta davanti ai pm avvalendosi della facoltà di non rispondere.

IN ASSENZA della collaborazione, la Procura ha dovuto disporre una perizia grafica che ha confermato che le firme sono state falsificate. Dopo gli avvisi di garanzia i probiviri dei 5stelle hanno sospeso i deputati Nuti, Mannino e Di Vita, mentre i parlamentari siciliani Giorgio Ciaccio e Claudia La Rocca si sono autosospesi accogliendo l’invito di Beppe Grillo che in un post aveva dato precise indicazioni. «Siamo e restiamo garantisti fino all’ultimo grado di giudizio ma è uno schiaffo all’etica politica che Claudia Mannino, indagata nell’inchiesta sulle firme false, continui a ricoprire il ruolo di segretario di Presidenza della Camera», accusa Alessia Morani del Pd.