Ancora ieri mattina le autorità danesi segnalavano la sua presenza ad Aalborg, nel nord del paese. In realtà a quell’ora la fuga di Anis Amri, tunisino di 24 anni ma soprattutto per gli inquirenti l’autore della strage al mercatino di Natale di Berlino, era già finita da qualche ora. Migliaia di chilometri più a sud e nel modo più drammatico. Fermato da due pallottole a Sesto San Giovanni dopo uno scontro a fuoco con una pattuglia della polizia in cui è rimasto ferito anche un agente.

Insospettiti da quell’uomo dai lineamenti mediorientali che alle tre del mattino si aggirava davanti alla stazione del comune alle porte di Milano, i due agenti lo avevano fermato per identificarlo. Un normale controllo di routine, o almeno così sembrava. «Non ho i documenti ma sono calabrese, di Reggio Calabria», prova a sviare Amri. Una spiegazione che non convince i due poliziotti.

Il capopattuglia, l’agente Christian Movio, gli chiede di svuotare lo zainetto che ha con sé. È a questo punto che Amri scatta. «Allah Akbar», grida mentre da sotto la giacca estrae una pistola calibro 22 con il colpo già in canna. Lo sparo ferisce Movio a una spalla. Il suo collega, Luca Scatà, 29 anni, agente ancora in prova al commissariato di Sesto, fa quello che gli hanno insegnato in accademia: si ripara dietro l’auto di servizio e risponde al fuoco. Un colpo solo che prende Amri al petto mettendo definitivamente fine alla sua corsa folle.

«Una scheggia impazzita, un latitante pericolosissimo che avrebbe potuto compiere altri attentati», spiega più tardi il questore di Milano Antonio De Iesu, mentre da Roma il ministro degli Interni Marco Minniti non ha dubbi sull’identità dell’attentatore, confermata dalle impronte digitali.

Ma cosa ci faceva Amir alle porte di Milano mentre le polizie di tutta Europa lo cercavano altrove? Nelle tasche dell’uomo gli inquirenti trovano alcuni biglietti delle ferrovie francesi che consentono di ricostruire l’ultimo percorso del fuggitivo. Approfittando del vantaggio involontariamente offertogli dagli investigatori tedeschi concentrati per una notte su un immigrato pakistano, poi risultato estraneo alla strage, Amri ha potuto allontanarsi da Berlino e dalla Germania riuscendo a raggiungere la Francia. E da lì l’Italia. I biglietti ferroviari lo collocano in transito giovedì da Chambery, in Alta Savoia, poi da Bardonecchia per arrivare infine alla stazione di Torino Porta Susa.

I video delle telecamere di sorveglianza sono stati acquisiti dagli inquirenti che adesso cercano tracce del suo passaggio. Sembra accertato che nel capoluogo piemontese Amri si sia fermato qualche ora, prima di proseguire con un treno regionale verso Milano, dove arriva all’1,15 della notte tra giovedì e venerdì. Due ore dopo, alle 3,15, la pattuglia «Alfasesto» della polizia con a bordo gli agenti Movio e Scatà lo incrocia mentre si aggira in piazza Primo Maggio, a Sesto San Giovanni, davanti alla stazione. In tasca, oltre alla pistola, ha un coltellino e poche centinaia di euro ma non un cellulare del quale probabilmente si è liberato subito per non essere intercettato, ma senza il quale sicuramente per lui sarà stato più difficile mettersi in contatto con chi avrebbe potuto aiutarlo nella sua fuga.

Gli investigatori tedeschi hanno accertato che nel periodo in cui è stato in Germania, Amri sarebbe stato in contatto con gruppi salafiti presenti nel Nordreno-Westfalia, cosa che rendere legittimo pensare che contati analoghi il tunisino possa averli avuti anche nel nostro paese. In particolare proprio a Milano dove, come a Napoli, l’attenzione di chi indaga si concentra sulla presenza di possibili basi che fanno riferimento al Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento, formazione che ha il compito di reclutare uomini di inviare nei teatri di guerra.

Circostanza che, se confermata, smentirebbe ancora di più la figura di Amri come quella di un lupo solitario.